sabato 1 dicembre 2018

Le principali uscite del Bilancio dello Stato


Per comprendere appieno le dinamiche del debito pubblico e del deficit dello Stato occorre aver chiaro il circuito delle entrate e delle uscite del Bilancio dello Stato.

Le principali voci di spesa dello Stato italiano sono desumibili dal sito del ministero delle Finanze (MEF).

Le più importanti divise per i principali ministeri sulla base della legge di bilancio per il prossimo anno, con la variazione rispetto alla legge di bilancio 2018, sono le seguenti:

Ministero dell'Economia e delle Finanze

- Rimborso titoli del debito statale: 228,3 miliardi, +1,3%.
- Tutela dei livelli essenziali di assistenza: 73,2 miliardi, invariata.
- Oneri finanziari su titoli del debito statale: 67 miliardi, +0,8%.
- Rimborsi di imposte indirette: 32 miliardi, -0,2%.
- Regolazioni contabili relative alla compartecipazione delle autonomie speciali ai gettiti dei tributi erariali riscossi direttamente dalle autonomie speciali: 20,2 miliardi, -1,2%.
- Partecipazione al bilancio Ue: 18,3 miliardi, +2,7%.
- Rimborsi di imposte dirette: 17,7 miliardi, invariata.
- Vincite sui giochi e lotterie: 14 miliardi, invariata.
- Contribuzione aggiuntiva a carico del datore di lavoro per i dipendenti delle amministrazioni statali: 10,8 miliardi, invariata.
- Compartecipazione delle autonomie speciali ai gettiti dei tributi erariali per lo svolgimento delle funzioni assegnate: 9 miliardi, +2,4%.
- Politiche di coesione: 6,4 miliardi, +30,7%.
- Oneri finanziari su buoni postali fruttiferi: 6 miliardi, -3%.
- Interessi sui conti di tesoreria: 5,4 miliardi, +35%.
- Fondi di riserva: 4,8 miliardi, invariata.
- Fondi da assegnare per interventi di settore: 4,6 miliardi, +404,5%.
- Settore creditizio e bancario: 4,5 miliardi, +50%.
- Recuperi tributari effettuati nei confronti delle Regioni a statuto speciale e delle province autonome: 4,2 miliardi, invariata.
- Contratto di programma e di servizio per il trasporto ferroviario: 3,8 miliardi, -24%.
- Attuazione delle politiche comunitarie in ambito nazionale: 3,4 miliardi, -30,5%.
- Sostegno alla ricostruzione: 3,2 miliardi, +137%
- Accertamento e relativo contenzioso in materia di entrate tributarie, catasto e mercato immobiliare, svolte dall'Agenzia delle entrate: 3,1 miliardi.
- Aggi su giochi e lotterie: 2,8 miliardi, invariata.
- Spese di personale per le missioni politiche economico-finanziarie e di bilancio e tutela della finanza pubblica: 2,3 miliardi, +0,9%.
- Garanzie assunte dallo stato: 2 miliardi, +10,7%.
- Servizio radiotelevisivo pubblico: 1,8 miliardi, +6,7%.
- Rimborso quota capitale mutui con oneri a carico dello Stato di prevalente interesse nazionale: 1,8 miliardi, +106,4%.
- Settore dell'autotrasporto: 1,6 miliardi, +9,1%.
- Fondo da assegnare per l'attuazione dei contratti del personale: 1,6 miliardi, -48,3%.

domenica 14 ottobre 2018

Bilancio dello Stato: norme e composizione


Il bilancio dello Stato è un documento che elenca ordinatamente le entrate e le spese dello Stato in un determinato periodo di tempo.
Nel nostro Paese è annuale o pluriennale e l’anno finanziario su cui si calcola corrisponde all’anno civile.

L’insieme delle operazioni effettuate in un dato anno finanziario è definito esercizio finanziario.

Sulla base dell’esercizio a cui si riferisce, il bilancio può essere:

- Preventivo: riguarda le entrate e le spese che si prevede di riscuotere nell’esercizio successivo.
Si predispone prima dell’anno finanziario di riferimento, in mode che il Governo si attenga al programma delle entrate e delle spese previste.

- Consuntivo: si riferisce ad un anno trascorso.
Con esso si valuta l’attività finanziaria dello Stato, motivo per il quale si definisce anche “rendiconto finanziario”.

A seconda del contenuto, esso può essere:

- di competenza, quando comprende le entrate da riscuotere e le spese da pagare nel corso dell’esercizio.
Le entrate e le spese si contabilizzano indipendentemente da quando si realizzerà la riscossione e/o il pagamento.

- di cassa: riporta le entrate effettivamente riscosse e le uscite effettivamente pagate durante l’esercizio finanziario.

sabato 6 ottobre 2018

Il peso della spesa pensionistica sul PIL e le prospettive di lungo periodo

Quando si discorre di debito pubblico inevitabilmente di finisce per affrontare il peso della spesa pensionistica e il peso assunto da essa sul bilancio statale.

Per una lettura del sistema previdenziale italiano dal punto di vista teorico si fa spesso ricorso alla teoria del ciclo di vita del risparmio elaborata da Franco Modigliani, con la quale il premio Nobel per l’economia analizzò la tendenza dei consumatori a posticipare i consumi e i risparmi durante la loro vita.

Secondo la teoria del ciclo vitale elaborata dall'economista italiano naturalizzato statunitense nel 1946, consumo e risparmio sono variabili che cambiano durante la vita di un individuo.
I consumatori, in altre parole, effettuano le loro scelte in fatto di consumi non sulla base del loro reddito corrente, ma secondo le loro aspettativa di reddito e consumo totale futuri.
Gli individui tendono, quindi, in alcune fasi della loro vita a risparmiare per poi spendere in altre fasi il denaro accantonato.
Seguendo tale ragionamento, i risparmi servirebbero per assicurarsi delle certezze anche nel periodo in cui cesserà, o si ridurrà drasticamente, la produzione di reddito, vale a dire in quello del pensionamento.
Per poter vivere dopo che si è smesso di lavorare per limiti di anzianità il reddito risparmiato durante la vita lavorativa dovrà quindi essere trasferito nel periodo di pensionamento.




In Italia, sebbene da qualche anno sia partito il fenomeno degli accantonamenti volontari mediante i fondi pensione, che vedremo più avanti, in gran parte dei casi è lo Stato ad occuparsi di tale distribuzione, trattenendo parte della retribuzione dei lavoratori per ridistribuirla poi durante il periodo del pensionamento.

domenica 16 settembre 2018

Sostenibilità del debito pubblico: il rapporto debito/Pil


La lettura del debito pubblico in termini assoluti non consente di valutare se una dato stock di debito di uno Stato sia adeguato o se esso versi in una situazione di indebitamente eccessivo.

Per questo fine è più comodo analizzare il rapporto tra debito pubblico e PIL (Prodotto interno lordo) di un Paese.

Dividendo i membri dell’equazione 

Bt = (1 + r)Bt-1 + Gt - Tt

per il reddito Yt otteniamo: 

Bt/Yt = (1+r) Bt-1/Yt + Gt-Tt/Yt 

Riscrivendo la crescita del PIL, g = (Yt - Yt-1)/Yt-1, nella formula Yt = Yt-1 (1 + g) e, assunta la stabilità dei prezzi, e dunque la coincidenza di tasso d’interesse reale e tasso d’interesse nominale, r = i , essa diventa:

Bt/Yt = (1 + r/1 + g) x (Bt-1/Yt) + (Gt - Tt )/Yt

Il rapporto (1 + r/1 + g) può essere riscritto nella formula (1 + 𝑟 − 𝑔). 


Indicando poi con il rapporto debito/PIL, il trend di lungo periodo di questo diventa:

bt = (1 + r -g)bt-1 + (Gt - Tt)/Yt

Tale equazione, che parte dallo studio della relazione tra debito pubblico e crescita economia di Domar (1944), evidenzia come la sostenibilità del debito è data dalla reazione tra il tasso di interesse su di esso e la crescita della ricchezza.
Dal rapporto tra queste due grandezze e dal saldo primario dipenderà quindi la dinamica del debito pubblico nel lungo periodo: maggiore risulterà la differenza tra tasso di interesse e crescita della ricchezza, più il Governo dovrà generare importanti saldi primari per scongiurare l’esplosione del rapporto debito/PIL; più un Paese avrà un tasso di crescita economica maggiore del tasso di crescita del debito, anche generando disavanzi primari negli anni, meno problemi recherà il debito in quanto il suo rapporto con il PIL convergerà ad un punto di equilibrio, ad uno stato stazionario.

In questo secondo caso, riprendendo parte della teoria keynesiana, si potrà sostenere l’espansione del reddito attraverso l’indebitamento e se le politiche di spesa in deficit saranno abbastanza produttive da generare una crescita economica maggiore del tasso di interesse, lo Stato non sarà costretto nemmeno ad aumentare la pressione fiscale per far fronte al debito pubblico.
Lo Stato, in altri termini, più che temere di generare disavanzi che faranno lievitare il debito dovrà impegnarsi soprattutto a garantire una crescita economica in grado di sterilizzare gli effetti dell’aumento del debito.

domenica 2 settembre 2018

Vincolo di bilancio, disavanzo e autoalimentazione del debito pubblico


Per comprendere appieno le dinamiche del debito pubblico odierne e tutto ciò che esse implicano in termini politici, economici e sociali, è necessario soffermarsi sul rapporto debito/PIL e cercare di comprendere perché questa relazione abbia tanta centralità nel dibattito pubblico.

Dal punto di vista concettuale la questione è di facile comprensione: il debito pubblico è un parametro che si autoalimenta, un fenomeno che, in presenza di un disavanzo iniziale e in assenza della volontà del governo di ripagarlo negli anni successivi, può aumentare all’infinito.
Per stabilire, quindi, se il debito è sopportabile per un singolo Paese diventa fondamentale tener conto della ricchezza prodotta nello stesso, attraverso la quale si ricavano le risorse con cui coprirlo, per cui diventa centrale, nell’analisi, il rapporto debito/PIL.

Dal punto di vista pratico, per comprendere meglio l’argomento può risultare utile rispolverare concetti quali vincolo di bilancio di governo, deficit e debito pubblico.

Il bilancio pubblico è la rappresentazione contabile delle entrate e delle uscite delle pubbliche amministrazioni, che, a loro volta, si suddividono in amministrazioni centrali dello Stato, amministrazioni locali ed enti previdenziali.

Se, in un dato anno, le spese pubbliche eccedono le entrate pubbliche si ha un disavanzo pubblico (deficit).

La somma dei disavanzi accumulati negli anni dallo Stato costituiscono il debito pubblico.

Fatte queste semplici premesse, il vincolo di bilancio del governo nell’anno t è dato dall’equazione:

disavanzot = rBt-1 + Gt - Tt

dove:

Gt - Tt è il saldo primario, dato dalla differenza tra la spesa pubblica Gt e le entrate tributarie Tt.
Se la prima supera le seconde si realizza un disavanzo primario, viceversa si ha un avanzo primario.

Per determinare il disavanzo pubblico complessivo nell’anno t a questo aggregato va sommato l’onere degli interessi sul debito pubblico, dato dal tasso di interesse reale r che moltiplica lo stock del debito alla fine dell’anno precedente Bt-1.

Le entrate e le spese pubbliche sono costituite da distinti aggregati.

sabato 11 agosto 2018

Gli anni ’60 e la crescita continua del debito pubblico


Fino ai primi anni ’60, grazie al boom economico che spinse il rapporto debito/PIL a livelli decisamente bassi, l’impatto del debito pubblico italiano sullo sviluppo economico rimase neutrale.
Dopo non sarà più così.

Le grandi riforme strutturali avviate in questo decennio e gli avvenimenti internazionali in campo finanziario e speculativo di quello successivo, che metteranno a dura prova la tenuta di molti Stati, stravolgeranno il trend post-bellico.

Il periodo di grande crescita economica aveva ridotto notevolmente il divario dell’Italia dagli altri paesi industrializzati.
Per la prima volta gli impiegati nell’industria avevano superato quelli agricoli.
Il tenore di vita delle famiglie stava migliorando.
Nelle case comparivano le prime televisioni, le lavatrici e i frigoriferi.
Le strade erano invase da Fiat 600 e 500: era partita la cosiddetta motorizzazione di massa, che portò anche un ammodernamento delle infrastrutture viarie.

domenica 5 agosto 2018

Debito pubblico: gli anni della ricostruzione e la crescita economica



Dopo la seconda guerra mondiale il ricorso al disavanzo di bilancio diventa ordinario.
Il Paese esce distrutto dal conflitto bellico.
L’instabilità economica la fa da padrona.
Il mercato interno è fermo, il sistema fiscale è antiquato e le uscite per i reduci e per i danni di guerra sono esorbitanti.

Il dato peggiore si registrò proprio nel 1946, con il deficit che sfondò i 900 miliardi di lire, dato più che dimezzato quattro anni dopo con le politiche di risanamento intraprese già nel 1948.
Notevole il contributo al miglioramento generale dei conti pubblici da parte del piano di aiuti economico-finanziari statunitense per la ricostruzione dell’Europa post-bellica voluto dal segretario di Stato del presidente Truman, già Capo di Stato maggiore dell'Esercito degli Stati Uniti durante la seconda Guerra Mondiale e principale consigliere militare del presidente Roosevelt, George Marshall.

sabato 28 luglio 2018

Debito pubblico: il ventennio fascista e la seconda guerra mondiale


Il primo governo fascista si insediò nel 1922 e nello stesso anno il Ministero del Tesoro e quello delle Finanze vennero accorpati sotto un’unica struttura.

La situazione ereditata dall’esecutivo era decisamente drastica.
Il ministro Alberto De’ Stefani, titolare del nuovo dicastero dopo essere stato docente universitario a Roma e squadrista e deputato del PNF, propose un piano di rientro che passò per provvedimenti molto incisivi, tra cui l’eliminazione della tassa di successione o l’introduzione di un’imposizione personale complementare progressiva, con i quali riuscì prima a ridurre il deficit e poi, nel 1925, a decretare il raggiungimento del pareggio di bilancio.

Per gran parte dell’opinione pubblica si trattò in realtà di pura propaganda, poiché i buoni risultati sarebbero provenuti dalla cessazione delle uscite per la guerra, mentre per gli avversari di De’ Stefani gli attivi di bilancio furono frutto soprattutto di artifici contabili, come l’attualizzazione di storni di uscite risalenti a decenni dietro.

Inoltre, la gestione del debito pubblico in senso stretto fece segnare diversi flop.
Nel 1924 venne emesso un prestito da 5 miliardi per diminuire il debito fluttuante, ma la sua sottoscrizione di fermò al 30% del totale. Le conseguenze, in termini di fiducia da parte degli investitori e degli altri Stati, furono gravissime e i tassi sui titoli ordinari volarono al 6%.
Per rimediare a tale batosta, verso la fine dello stesso anno, furono emessi buoni postali di risparmio che produssero, tuttavia, effetti positivi soltanto nel medio periodo.

sabato 21 luglio 2018

Debito pubblico e dopoguerra: il Piano Dawes

Il piano di natura economica per la risoluzione del problema delle riparazioni di guerra a carico della Germania, riconosciuta quale principale responsabile della Grande Guerra dal Trattato di Versailles, venne approvato nel 1924 e ribattezzato come piano Dawes, dal nome del suo ideatore Charles Gates Dawes. Politico, banchiere e ambasciatore statunitense, nominato coordinatore del comitato internazionale cui toccò valutare il problema della riparazione dei danni di guerra dovuti dalla Germania ai Paesi vincitori e poi vicepresidente degli Stati Uniti d'America dal 1925 al 1929, Dawes fu insignito del Premio Nobel per la Pace l’anno successivo. Il piano Dawes si basava fondamentalmente su due punti: - la Germania non avrebbe potuto pagare le riparazioni che le erano state addebitate attraverso la ratifica del Trattato di Versailles (1919) finché non fosse stata messa in condizioni di riprendersi; - era, dunque, necessario fornirle i finanziamenti necessari per tale fine. Come poi sarebbe avvenuto nel secondo dopoguerra con il Piano Marshall, gli Usa avrebbero ottenuto come contropartita, oltre all’ovvia ingerenza nella politica interna, quelle di: - esportare in Europa merci e capitali in sovrapproduzione, evitando una crisi economica (che per altri motivi si verificherà ugualmente nel 1929); - legare i mercati europei e soprattutto tedeschi a quelli propri in modo da arginare possibili rivoluzioni di origine comunista; - rilanciare l'economia europea così da vedersi ripagati in tempi ragionevoli i debiti di guerra.


Debito pubblico: la prima guerra mondiale e la crisi del dopoguerra



Con la prima guerra mondiale i conti pubblici subirono una decisa impennata grazie alla notevole crescita della spesa pubblica ad essa correlata.
Il Paese fece registrare disavanzi su disavanzi e l’aumento delle imposte e del ricorso al debito e la messa in circolazione di maggiori quantitativi di moneta non riescirono a mitigare tale tendenza.

Cessato il conflitto bellico, inoltre, il disavanzo venne ulteriormente aggravato da un’improvvisa frenata delle spese e, dunque, degli investimenti pubblici, i cui effetti si intensificarono a causa di un sistema tributario logoro e poco funzionante, che non riuscì a garantire entrate in grado di coprire le uscite statali, ma al massimo i soli interessi del debito.

Il peso delle imposte, inoltre, diventò di sana pianta particolarmente asfissiante e, dunque frenante per il rilancio delle spese. E ciò per tutta una serie di motivi quali la perdita di valore della lira a seguito dell’aumento di circolante, la bassa crescita delle entrate totali, la contrazione del commercio interno e internazionale e, in generale, la mancata ripresa dell’economia.

venerdì 13 luglio 2018

Vendita massiccia di titoli di Stato: cautela o complotto finanziario?



Negli ultimi 5 anni il risparmio degli italiani è raddoppiato (ABI).
La crisi e i tagli al welfare hanno spinto i cittadini e le istituzioni bancarie ad accantonare i soldi investendoli nei titoli considerati più sicuri, quelli che prevedono comunque un capitale garantito alla scadenza: i titoli di Stato, che altro non sono che quote del debito pubblico.

Il 70% del debito pubblico italiano è in mano agli italiani. Sono piccoli risparmiatori (pensionati, dipendenti e piccoli imprenditori) che hanno investito in titoli di Stato o prodotti assicurativi, previdenziali e misti la cui rivalutazione è legata al rendimento di BOT, CCT, BTP e altri rientranti nella suddetta categoria.

L'altro 30% è in mano a banche nazionali ed internazionali che, dopo gli aiuti ricevuti dagli Stati ed essere state trasformate in soggetti fallibili per decreti nazionali e regolamenti internazionali, sono costrette a costituire e ad alimentare fondi di garanzia per potersi salvare da sole. Tali fondi non possono essere costituiti da titoli speculativi (il cui valore può anche azzerarsi) ma da quelli meno rischiosi, i titoli di Stato, appunto.

sabato 7 luglio 2018

Il debito pubblico dall’Unità d’Italia alla Grande Guerra




Il debito pubblico italiano trova le sue origini nell’unificazione politica del Paese.

Con la proclamazione del Regno d’Italia, avvenuta il 17 marzo 1861, si rese necessario raggruppare i vari ordinamenti amministrativi degli Stati preesistenti e già il 10 luglio dello stesso anno, con la legge n. 94, venne istituito il Gran Libro del debito pubblico.
Il 4 agosto seguì il riconoscimento dei titoli di debito degli Stati che avevano dato origine al Regno d’Italia e con la legge n. 174 essi furono iscritti nel Gran Libro.

I debiti, confluiti poi in un unico grande aggregato, riguardavano per il 57,22% il Regno di Sardegna, per il 29,40% il Regno di Napoli e Sicilia e per la restante parte gli altri Stati. Stessa situazione analizzandoli rispetto al numero di abitanti: l’ammontare pro-capite dei debiti degli Stati ante Unità d’Italia era per il Piemonte di 142 lire, per la Lombardia 56 lire, per la Sicilia 49 e per Napoli 63 lire.
I cittadini del Sud, in pratica, con l’unificazione del Paese si ritrovarono gravati degli oneri dei debiti degli Stati del Nord pur non beneficiando delle opere realizzate grazie all’emissione dei titoli di debito pubblico del Regno.

L’unificazione, in altri termini, non giovò affatto al Mezzogiorno, aggravando, anzi, quei ritardi strutturali di alcune aree di quella parte del Paese che già nel 1873 Antonio Billia, deputato radicale, identificò con la locuzione “questione meridionale”.

In generale, dall’unificazione del Paese alla prima guerra mondiale è possibile analizzare la finanza pubblica in tre diversi periodi.

sabato 16 giugno 2018

Analisi tecnica o analisi fondamentale: perché non entrambe?



Ancora oggi nello studio dei mercati finanziari si assiste ad una certa contrapposizione tra analisi tecnica e analisi fondamentale.
Ciò dipende soprattutto dal fatto che l’analisi fondamentale si poggia su basi ricavate dalla scienza economica, mentre l’analisi tecnica fa riferimento principalmente a considerazioni di natura psicologica.

Chi opta per l’analisi tecnica cerca di sfruttare quello che i metodi dell’analisi fondamentale non consentono di individuare, vale a dire il trend dei prezzi dei titoli quotati.
Essa, d’altra parte, essendo di tipo grafico, raggruppa metodi di analisi fruibili anche da chi non ha nozioni di economia e statistica, mentre l’analisi fondamentale necessiterebbe di una certa competenza per stimare il valore delle attività finanziarie oggetto di studio.

La valutazione tecnica è applicabile a qualunque mercato e a qualsiasi attività, a patto che gli scambi relativi siano liberi e non regolamentati.
L’analisi fondamentale richiede, al contrario, una specializzazione dell’analista in determinati settori di attività o in particolari mercati.
Coloro che propendono per questa ritengono che l’analisi tecnica, proprio perché svincolata da solide basi economiche, non abbia una vera utilità pratica.

sabato 9 giugno 2018

L’analisi tecnica: i principi fondamentali



L’analisi tecnica è lo studio dell'andamento dei prezzi dei mercati finanziari nel tempo, con il fine di anticiparne le tendenze future.
Essa si avvale soprattutto di metodi grafici e statistici.

Se con l’analisi fondamentale si tenta di individuare attività finanziarie potenzialmente profittevoli nel tempo, con l’analisi tecnica si possono ottenere indicazioni sul momento più idoneo per entrare sul mercato e l’obiettivo di prezzo per chiudere la posizione aperta, sia in termini di take profit, sia in fatto di stop loss.

L’analisi tecnica non tenta quindi di individuare il giusto prezzo di un’attività finanziaria, cosa cui mirerebbe invece l’analisi fondamentale, in quanto non ritiene il mercato governato da meccanismi perfettamente razionali ed efficienti in quanto domanda ed offerta sono comunque condizionati da fattori emotivi che impattano sui comportamenti umani in modo ripetitivo.

Chi ricorre all’analisi tecnica, in altre parole, non ritiene fondamentale capire il “perché” di un certo movimento di mercato, e né che esso si razionale o meno,  ma cerca di capire dove posizionarsi in modo da essere dalla parte giusta e nel momento giusto per minimizzare le perdite e massimizzare gli utili.

L’importante, dunque, è individuare dei livelli di entrata e di uscita dal mercato attraenti sotto il profilo del rischio-beneficio, centrando anche il momento preciso per operare, il timing
.

venerdì 1 giugno 2018

L’analisi fondamentale

Nel campo degli investimenti e, soprattutto, del trading si segnalano due tipologie di analisi, l’analisi tecnica, che mira a identificare il trend di un titolo, di un indice, un cross valutario, una commodity, un comparto etc attraverso i grafici, e l’analisi fondamentale, con la quale si tenta di individuare il prezzo di un asset attraverso la valutazione di parametri economici e lo studio dei mercati finanziari.
Nello specifico, l’analisi fondamentale cerca di prevedere l’andamento di un asset attraverso l’osservazione delle seguenti variabili:

- informazioni aziendali quali bilanci, previsioni e notizie rilevanti circolate sui media;

- notizie micro e macro-economiche riferite ad un paese o ad un prodotto;

- situazione politica e sociale del Paese o dei Paesi collegati all’asset oggetto di analisi;

- tipologia di settore (ciclici e anticiclici) dell’asset.


Questa tipologia d’analisi si basa sull’assunto che per stabilire il valore di un asset si cerca di capire il valore reale dell’azienda o dell’asset, in modo da capire se il valore stimato sia più maggiore o minore del valore di mercato e decidere, di conseguenza, se vendere o comprare ed è effettuata dagli analisti fondamentali che mirano a disporre di tutte le informazioni  su società, compagine sociale, conti, stato dell’economia nazionale e politiche aziendali che in qualche modo possono influenzare le scelte future degli azionisti.

Fondamentale diventa quindi studiare le notizie economiche che vengono periodicamente pubblicate, soprattutto quelle riguardanti le maggiori potenze economiche che, in tali vesti, sono in grado di influenzare i mercati finanziari con i loro dati e le loro previsioni.

domenica 13 maggio 2018

I Fondi Pensione


I fondi pensione sono organismi di investimento collettivo del risparmio introdotti in Italia dal dlgs. 124/1993 e dalle leggi n. 449/1997 e 144/1999, un complesso di disposizioni che hanno radicalmente modificato il sistema previdenziale italiano, un tempo di natura esclusivamente pubblica, arricchendolo di elementi tipici dei sistemi pensionistici privati di origine anglosassone.

La normativa nazionale distingue tra fondi pensione negoziali (o chiusi), previsti per particolari categorie professionali, e fondi pensione aperti:

- i fondi pensione chiusi sono istituiti grazie ad un accordo collettivo o aziendale o di categoria o tramite un accordo tra lavoratori autonomi o tra liberi professionisti, promosso dalle rispettive associazioni di categoria.
Ad essi possono aderire esclusivamente coloro che esercitino una determinata attività di lavoro subordinato o di lavoro autonomo o di impresa e siano iscritti a una forma di previdenza di tipo obbligatorio.
Tramite una convenzione la gestione del fondo (la gestione tecnica dei mezzi finanziari raccolti) viene poi delegata ad un’istituzione (banca, SIM, SGR, compagnia di assicurazione);

fondi pensione aperti, previa specifica autorizzazione rilasciata dalla Commissione di Vigilanza per i Fondi Pensione (COVIP) possono essere invece costituiti da enti gestori di previdenza obbligatoria, compagnie di assicurazione e SGR, SIM, banche o imprese di investimento comunitarie.
Alla COVIP spetta l'attività di vigilanza sui fondi pensione al fine di perseguire la corretta e trasparente amministrazione e gestione degli stessi per la loro collocazione tra i sistemi di previdenza complementare.
Sui gestori restano invece i poteri di controllo delle rispettive autorità di vigilanza (Consob, Banca d’Italia, IVASS)
Ad essi possono aderire tutti coloro che desiderano seguire i programmi di risparmio previdenziale di tipo individuale proposti, indipendentemente dalla posizione contributiva detenuta.

lunedì 7 maggio 2018

I Fondi Immobiliari



I fondi comuni di investimento immobiliari consentono all’investitore di trasformare investimenti immobiliari, per loro natura non prontamente liquidabili come quelli mobiliari, in quote di attività finanziarie con cui generare liquidità senza dover acquistare direttamente un immobile.

Introdotti in Italia con la Legge del 21/01/1994 n. 86 e profondamente ridisciplinati dal D.Lgs. 24 febbraio 1998 n. 58 “Testo Unico della Finanza” (TUF), prima, e dalla successiva fitta produzione normativa (nazionale, comunitaria e provvedimenti di Bankitalia e Consob) in materia, questi fondi, grazie alla loro capacità di conservare valore con il trascorrere del tempo, rappresentano un’importante alternativa agli investimenti più tradizionali, soprattutto in quelle fasi di mercato in cui i tassi d’interesse fanno registrare un andamento (al ribasso) tale da rendere più appetibile il “mattone”.

Caratteristiche. I fondi immobiliari sono fondi comuni di investimento che investono il patrimonio in misura non inferiore ai due terzi in beni immobili, diritti reali immobiliari e partecipazioni in società immobiliari.
Sono fondi chiusi, prevedono cioè un diritto al rimborso della quota sottoscritta solo ad una data scadenza, anche se con il DL 351/2001 e il DM n. 47 del 2003 è stata introdotta la possibilità di emissioni successive di quote e di rimborsi anticipati per aumentare la loro liquidabilità.

venerdì 4 maggio 2018

Gli ETF (Exchange Traded Fund)

Gli ETF o Exchange Traded Fund sono una particolare tipologia di fondi d’investimento o Sicav caratterizzati principalmente dal fatto di essere negoziati in Borsa come delle comuni azioni e di perseguire come unico obiettivo d’investimento quello di replicare l’indice al quale si riferiscono (benchmark) mediante una gestione totalmente passiva.

Essi, sintetizzando le caratterisriche tipiche di un fondo o di un’azione, consentono agli investitori di sfruttare i tratti essenziali di entrambi gli strumenti, quali la diversificazione e la riduzione del rischio, proprie dei fondi, e la flessibilità e la trasparenza informativa della negoziazione in tempo reale, come per le azioni.
Gli ETF permettono inoltre di prendere posizione sul mercato di riferimento con una sola operazione di acquisto (o vendita), beneficiare di proventi periodici, poichè i dividendi o gli interessi che il fondo incassa grazie ai titoli detenuti nel proprio patrimonio, oltre i proventi del loro reinvestimento, possono essere distribuiti periodicamente agli investitori o capitalizzati stabilmente nel patrimonio dello stesso fondo, ridurre i costi di gestione di un portafoglio e ridurre il rischio emittente. Essi sono infatti, a seconda dello strumento, Fondi Comuni di Investimento o Sicav e, come tutti gli OICR, hanno quindi un patrimonio separato rispetto a quello delle società che si occupano delle attività di costituzione, gestione, amministrazione e marketing: non sono, dunque, esposti al rischio di insolvenza, nemmeno in caso di fallimento delle società coinvolte.

lunedì 30 aprile 2018

Gli Index Fund (Fondi Indicizzati)

I fondi indicizzati (Index Fund), molto radicati negli Stati Uniti e di relativa recente diffusione in Europa, sono fondi la cui gestione è, di fatto, totalmente passiva.
La composizione del portafoglio è legata infatti a quella dell’indice del mercato di riferimento e, di conseguenza, non richiedono metodologie di costruzione e gestione molto complesse.

L’attività principale consiste nel formare un paniere di titoli che replichi il più fedelmente possibile in fatto di composizione percentuale la struttura del mercato scelto con l’obiettivo di conseguire un risultato in linea con quello del parametro di riferimento adottato.
Si ha poi un ribilanciamento periodico dei pesi dei titoli all’interno di esso secondo le variazioni registrate nel benchmark di riferimento o dal prezzo di un singolo titolo quando tali da modificare il suo peso nel portafoglio: un’attività di turnover, come intuibile, molto ridotta, che consente di abbattere costi di ricerca, analisi e gestione e, come accade per molti Index Fund, di evitare l’applicazione di commissioni di ingresso e uscita.

venerdì 27 aprile 2018

Fondo di Fondi

Il Fondo di Fondi è un fondo comune d’investimento che investe in quote di altri fondi comuni e/o Sicav che presentano una politica di investimento compatibile con i criteri previsti dal regolamento dello stesso.
La caratteristica principale del fondo di fondi, la cui costituzione è disciplinata in Italia principalmente dal decreto n. 228 del 24 maggio 1999 del Ministero del Tesoro e dai Regolamenti attuativi della Banca d’Italia del 20 settembre dello stesso anno, consiste nel fatto che il patrimonio raccolto attraverso l'emissione di quote può essere investito, anche del tutto, in quote di altri organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR), purché questi siano conformi alla normativa comunitaria in materia di fondi armonizzati o siano OICR aperti di diritto italiano il cui patrimonio non risulti a sua volta investito, in misura superiore al 10%, in quote di altri OICR.
Il patrimonio può essere anche investito in quote di OICR non armonizzati con un limite massimo del 30%, soddisfatti dati requisiti minimi relativi alle attività presenti nel loro patrimonio e al regime di pubblicità.
Questa tipologia di fondo rientra nelle cosiddette gestioni multimanager, vale a direi quei casi in cui gli OICR acquisiti provengono da organismi diversi dalla casa madre del fondo acquirente.
Se l’investimento avviene in fondi gestiti dalla medesima Sgr o da una Sgr appartenente al gruppo dell’acquirente, la normativa impone che su tali quote non vengano imposte commissioni, né di gestione, né di entrata e uscita.

sabato 21 aprile 2018

Gli Hedge Fund (Fondi Speculativi)


Per Fondo speculativo (Hedge Fund) si intende un Fondo comune di investimento il cui patrimonio può essere investito in attività diverse, anche più rischiose, da quelle previste per i fondi aperti e chiusi, in deroga ai divieti e alle norme prudenziali di contenimento e frazionamento del rischio stabilite dalla Banca d'Italia.

Gli hedge fund rappresentano quella classe di Organismi d’Investimento Collettivo del Risparmio (OICR) che non rientrano nel convenzionale gruppo dei fondi comune d’investimento.
La principale caratteristica di questi fondi è la ricerca del rendimento assoluto, indipendentemente dall’andamento dei mercati.

Per questo i fondi hedge usano solitamente strumenti o strategie di investimento molto sofisticati come:

- vendita allo scoperto (short selling);
- strumenti derivati come opzioni e future;
- hedging;
- leva finanziaria (leverage).

Dal punto di vista normativo, i fondi speculativi godono quindi di maggiore libertà per quanto riguarda i limiti e i criteri d’investimento, ma al contempo la normativa stabilisce particolari limiti in fatto di partecipazione e offerta al pubblico: i sottoscrittori non possano superare il limite di 200 unità, l’investimento minimo iniziale deve essere non inferiore a 500.000 euro e i fondi non possono essere oggetto di sollecitazione all’investimento.

venerdì 13 aprile 2018

Come scegliere e monitorare il fondo

Per scegliere il fondo comune occorre leggere il KIID (Key Investor Information Document) che deve essere obbligatoriamente consegnato al sottoscrittore e concentrarsi sulle c.d. caratteristiche chiave, vale a dire:

- finalità e politica di investimento, dipendenti dalle principali tipologie di attività in cui il fondo investe con particolare riguardo, se rilevante, all'area geografica o settoriale di riferimento;

- profilo di rischio-rendimento. Ciascun fondo è classificato infatti con un indicatore sintetico di rischio che va da 1 (minimo rischio) a 7 (massimo rischio);

- costi, cioè le commissioni di sottoscrizione e/o di rimborso, le commissioni di gestione, e quelle di performance. Conoscere i costi è fondamentale, sia perché possono abbattere in maniera significativa il rendimento del fondo, sia perché molti fondi offrono formule alternative di costi che meglio possono soddisfare le nostre esigenze;

- rendimenti passati. Per ciascun fondo vengono riportati i rendimenti conseguiti negli ultimi 10 anni: un dato importante che però non va sopravvalutato in quanto, ovviamente, non vi è alcuna certezza di conseguire analoghi rendimenti in futuro.

venerdì 6 aprile 2018

I Fondi aperti “Armonizzati”

Introducendo i fondi comuni abbiamo accennato ad una distinzione fondamentale tra essi,  quella cioè tra fondi aperti e fondi chiusi, e tra i primi rivestono molta importanza, per la loro diffusione, i Fondi Armonizzati.

Costituiti nei paesi dell'Unione europea, essi investono prevalentemente in titoli quotati (azioni, obbligazioni, ecc.) e il termine "armonizzati" deriva dal fatto che seguono regole e criteri comuni finalizzati a tutelare gli interessi dei risparmiatori limitando e frazionando i rischi assumibili dai fondi stessi.

La vigilanza sui fondi armonizzati è affidata alle autorità del paese di origine (ad esempio, un fondo lussemburghese sarà vigilato dall'autorità del Lussemburgo, anche se offerto in Italia). Alle autorità italiane spetta esclusivamente la vigilanza sulle modalità di commercializzazione del prodotto nel nostro Paese.


sabato 31 marzo 2018

Strumenti di investimento: i Fondi Comuni

I fondi comuni sono strumenti di investimento gestiti dalle società di gestione del risparmio (SGR) che raggruppano le somme di più risparmiatori e le investono, sotto forma di un unico patrimonio, in attività finanziarie (azioni, obbligazioni, titoli di stato, ecc.) o, per alcuni di essi, in immobili, rispettando regole finalizzate a ridurre i rischi.
Essi sono suddivisi in tante parti unitarie, denominate quote, che vengono sottoscritte dai risparmiatori e garantiscono uguali diritti.

L’attività di investimento può essere svolta anche dalle società di investimento a capitale variabile (Sicav) o a capitale fisso (Sicaf): la differenza, in teoria, è netta, poichè il fondo comune è un patrimonio a sè stante, costituito con il denaro dei sottoscrittori e gestito dalla sgr, mentre le sicav e le sicaf sono vere e proprie società di cui i sottoscrittori divengono soci con tutti i relativi diritti (voto compreso), ma nella pratica sia i fondi che le sicav e le sicaf svolgono lo stesso tipo di attività, per cui spesso con il termine fondo ci si riferisce anche alle Sicav e alle Sicaf.

Tipologie di fondi. Esistono diverse tipologie di fondi e relative ripartizioni del comparto. Una prima e fondamentale distinzione è tra:

Fondi aperti, che consentono di sottoscrivere quote, o chiederne il rimborso, in qualsiasi momento. Questi investono normalmente in attività finanziarie quotate.

- Fondi chiusi, che consentono di sottoscrivere quote solo nel periodo di offerta, che si svolge prima di iniziare l'operatività vera e propria, e le rimborsano di norma solo alla scadenza del fondo. Ad essi sono riservati investimenti poco liquidi e di lungo periodo (immobili, crediti, società non quotate).

sabato 24 marzo 2018

Gli Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio (OICR)

Per OICR si intendono gli Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio ai sensi del primo articolo del Testo Unico della Finanza (TUF).
Sono organismi con forma giuridica variabile di investimento in strumenti finanziari o altre attività in denaro raccolto tra il pubblico dei risparmiatori che operano secondo il principio della ripartizione dei rischi.


Gli OICR possono essere fondi comuni di investimento costituiti e gestiti da Società di gestione del risparmio (SGR), oppure SICAV, Società di Investimento a Capitale Variabile.
In entrambi i casi si tratta di società per azioni, ma nei fondi comuni di investimento l’investitore non è socio ed il suo patrimonio autonomo è nettamente diviso dal patrimonio sociale, riceve quote di partecipazione al fondo e mai azioni della società, mentre nelle Sicav diventa socio della società sottoscrivendo azioni direttamente emesse dalla stessa, senza avere un proprio patrimonio autonomo.

La gestione collettiva del risparmio viene realizzata attraverso la promozione, l’istituzione e l’organizzazione di fondi comuni di investimento e l’amministrazione dei rapporti con i partecipanti, oltre che attraverso la gestione del patrimonio di OICR, di propria o altrui costituzione, i cui investimenti abbiano ad oggetto strumenti finanziari, crediti, altri beni mobili o immobili.

sabato 17 marzo 2018

Gestori di portali di Equity Crowdfunding

Nel nostro Paese sono disciplinati anche i portali di Equity Crowdfunding, piattaforme online attraverso le quali è possibile acquistare azioni o quote di società innovative in fase di start up.

Con il termine Equity Crowdfunding si indica infatti il processo con cui più persone conferiscono somme di denaro, anche di modesta entità, per finanziare una società acquistandone le quote o azioni attraverso internet.

Per start-up innovative si intendono piccole società di capitali (spa, srl o cooperative) italiane, impegnate in settori innovativi e tecnologici o a vocazione sociale. 
Se sono iscritte in una sezione speciale del registro delle imprese dedicate specificamente ad esse possono offrire i propri strumenti finanziari (anche) attraverso portali on-line.

Il portale assume quindi un’importanza decisiva poiché è il luogo virtuale dove poter assumere le informazioni necessarie per decidere se investire online in strumenti finanziari emessi da start-up innovative e compiere la procedura per perfezionare l'investimento e facilitare la raccolta del capitale di rischio delle start-up innovative. Motivi per i quali i portali di Equity Crowdfunding sono vigilati dalla Consob in modo da garantire l’affidabilità e la qualità del servizi prestati.

venerdì 9 marzo 2018

I consulenti finanziari indipendenti (“autonomi”)

Oltre ai soggetti visti, anche i consulenti finanziari persone fisiche e le società di consulenza finanziaria possono prestare consulenza in materia di investimenti
La normativa di settore (articoli 18-bis e 18-ter del Testo Unico della Finanza - D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58) riconosce infatti alle persone fisiche, alle s.r.l. e alle s.p.a. in possesso di determinati requisiti di professionalità, onorabilità, indipendenza e patrimoniali (stabiliti con regolamento dal Ministero dell'Economia e delle Finanze) la possibilità di prestare tale attività, senza detenere somme di denaro e strumenti finanziari di pertinenza dei clienti.

Tali soggetti sono detti consulenti indipendenti e la loro caratteristica principale consiste nel fatto di non essere legati ad alcun intermediario. 
Ciò delinea due importanti conseguenze:
- maggiore libertà nello scegliere gli investimenti da proporre ai clienti, che non devono necessariamente coincidere con quelli offerti da un determinato intermediario;
- il consulente indipendente è pagato unicamente dal cliente che beneficia del servizio. 

venerdì 2 marzo 2018

Le imprese di investimento comunitarie e extracomunitarie

Per imprese di investimento comunitarie si intendono quei soggetti, diversi dalle banche, aventi sede legale in uno Stato comunitario, diverso dall'Italia, a cui è riservato, insieme ad altri soggetti l'esercizio professionale nei confronti del pubblico dei servizi e attività di investimento.

Esse possono svolgere la loro attività in Italia tramite succursale, cioè una sede sprovvista di personalità giuridica dove viene effettuata direttamente, in tutto o in parte, l'attività della banca o in libera prestazione di servizi, vale a dire senza stabilire succursali nel nostro territorio, operando direttamente dal proprio Stato di origine.

sabato 24 febbraio 2018

Le SIM (Società di Intermediazione Mobiliare)

Le Società di Intermediazione Mobiliare (SIM) sono le imprese di investimento, aventi sede legale e direzione generale in Italia autorizzate dalla Consob, ed iscritte in un apposito albo tenuto dalla stessa commissione. 

Insieme alle banche, esse possono prestare nei confronti del pubblico servizi e attività d'investimento, oltre a poter svolgere anche i servizi accessori; attività ad esse riservate dalla legge con il fine di garantire agli investitori che vengano prestate nei loro confronti da operatori dotati di specifiche professionalità e destinatari di un quadro normativo omogeneo.

Le SIM sono infatti sottoposte ad una continua attività di vigilanza sia da parte della Consob, per i profili di trasparenza e correttezza, sia dalla Banca d'Italia, per i profili di solidità patrimoniale, in modo da assicurare una corretta operatività ed un’adeguata informativa nei confronti della clientela.

domenica 18 febbraio 2018

Le imprese di assicurazione

Con il termine imprese di assicurazione si identificano i soggetti autorizzati all'esercizio dell'attività assicurativa. 
Sono, in genere, sottoposte alla vigilanza dell'Ivass (Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni), a cui tocca tutelare la sana e prudente gestione delle imprese e garantire la trasparenza e la correttezza dei comportamenti nei confronti dei clienti.

Su di essa esercita poteri di vigilanza anche la Consob, ma solo con riguardo all'offerta di polizze appartenenti di rami vita III (assicurazioni sulla vita unit linked e index linked) e V (operazioni di capitalizzazione) e limitatamente alla sola fase della sottoscrizione o del collocamento, per le quali deve essere predisposto un prospetto informativo, redatto secondo i criteri stabiliti dalla stessa commissione e devono essere rispettate le regole di condotta previste di norma per l'offerta degli altri prodotti finanziari, oltre che le relative disposizioni in tema di contratti.

venerdì 16 febbraio 2018

Sicav e Sicaf

Insieme alle SGR, le società di investimento a capitale variabile (Sicav) e le società di investimento a capitale fisso (Sicaf) sono gli unici soggetti che possono svolgere l'attività di gestione collettiva del risparmio, che, con le relative attività connesse e strumentali, è l’unica che esse possono svolgere.

Sicav e Sicaf sono autorizzate dalla Banca d'Italia, sentita la Consob, previa verifica della sussistenza dei requisiti stabiliti all’art. 35 – bis comma 1 del T.U.F. finalizzati ad assicurare la solidità patrimoniale delle società (provvedimento della Banca d'Italia dell'8 maggio 2012), la professionalità e l’onorabilità degli amministratori, dei sindaci e del direttore generale e l’onorabilità degli azionisti (d.m. 11 novembre 1998, n. 468 del M.E.F.).

Data la rilevanza dell'attività svolta, l’art. 35-decies del Testo Unico della finanza e artt. 65 e ss. del regolamento Consob n. 16190/2010 ha fissato anche regole di condotta.
In particolare le società devono:

- operare con diligenza, correttezza e trasparenza nell'interesse dei partecipanti ai fondi;
- organizzarsi in modo tale da ridurre al minimo il rischio di conflitti di interesse;
- adottare misure idonee a salvaguardare i diritti dei partecipanti.

lunedì 12 febbraio 2018

Le Società di gestione del risparmio (SGR)

Le Societa di gestione del risparmio (SGR), le Sicav e le Sicaf sono gli unici soggetti che possono svolgere l'attività di gestione collettiva del risparmio.
Le SGR possono anche prestare alcuni servizi di investimento, quali:

- la gestione di portafogli (“gestioni patrimoniali”);
- la consulenza in materia di investimenti;
- la ricezione e trasmissione di ordini (in alcuni specifici casi).

Le SGR sono autorizzate dalla Banca d'Italia, sentita la Consob, previa verifica della sussistenza dei requisiti fissati all’art. 34, comma 1, del Testo Unico della finanza, finalizzati a garantire la solidità patrimoniale della società (come da provvedimento della Banca d'Italia dell'8 maggio 2012), la professionalità e l'onorabilità degli amministratori, sindaci e direttore generale e l'onorabilità degli azionisti (DM. 11 novembre 1998, n. 468 del Ministro dell'Economia e della Finanza): attraverso tali regole, e quelle di condotta ex art. 35-decies del Testo Unico della finanza e artt. 65 e ss. del regolamento Consob n. 16190/2010, si mira, innanzitutto, ad assicurare che l'attività di gestione sia svolta da soggetti qualificati e che le SGR operino con diligenza, correttezza e trasparenza nell'interesse dei partecipanti ai fondi, si organizzino in modo tale da ridurre al minimo il rischio di conflitti di interesse e adottino misure idonee a salvaguardare i diritti degli investitori.

venerdì 9 febbraio 2018

Gli operatori finanziari: le Banche


Tra i soggetti che possono prestare servizi di investimento, previa autorizzazione da parte della Consob, figurano le banche.
Sono i tipici soggetti autorizzati all'esercizio dell'attività bancaria, che tuttavia possono prestare nei confronti del pubblico anche servizi e attività di investimento, oltre ai servizi accessori.

Sulla base dell’ubicazione della loro sede legale, esse di possono distinguere in:
- banche italiane;
- banche comunitarie (se la sede legale e l’amministrazione centrale sono in uno stato comunitario diverso dall’Italia);
- banche extracomunitarie (con sede legale in uno Stato extracomunitario).

Le banche comunitarie ed extracomunitarie possono svolgere la loro attività in Italia o tramite succursale, cioè una sede, priva di personalità giuridica, che effettua direttamente, in tutto o in parte, l'attività bancaria, o in libera prestazione di servizi, vale a dire senza stabilire succursali nel territorio italiano operando direttamente dal proprio Stato di origine (attraverso il web, ad esempio).

sabato 3 febbraio 2018

Appello al pubblico risparmio


L'offerta al pubblico di prodotti finanziari è un appello al pubblico risparmio per sollecitare la sottoscrizione di prodotti finanziari da poco emessi o l’acquisto di prodotti finanziari già emessi. Nel primo caso si parla di offerta pubblica di sottoscrizione, nel secondo di offerta pubblica di vendita.

In essa, come da TUF, rientrano tutte quelle comunicazioni rivolte al pubblico, in qualsiasi forma e tramite qualsiasi mezzo, che contengano sufficienti informazioni circa le condizioni dell’offerta e i prodotti finanziari oggetti di essa, così da mettere un investitore in grado di decidere di acquistare o di sottoscrivere questi, compreso il collocamento attraverso soggetti abilitati.
E per prodotti finanziari il legislatore fa riferimento non solo agli strumenti finanziari, come invece la normativa comunitaria in materia, ma anche ad ogni altra forma di investimento di natura finanziaria proposta al pubblico risparmio, esclusi i depositi bancari o postali non rappresentati da strumenti finanziari.

L’offerta al pubblico di prodotti finanziari è disciplinata da uno specifico impianto normativo che trova le sue fonti nel Capo I del Titolo II della Parte IV del TUF e Parte II, Titolo I del Regolamento emittenti approvato dalla Consob con delibera n.11971 del 14 maggio 1999 e successive modifiche ed integrazioni, mirante a garantire la correttezza e la completezza delle informazioni  da fornire ai potenziali investitori e la parità di trattamento dei destinatari dell’offerta.
In particolare, salvo i casi di inapplicabilità e di esenzione sanciti dalla normativa vigente, l’offerta al pubblico può essere eseguita solo previa pubblicazione di un prospetto informativo che deve essere sottoposto preventivamente all’approvazione della Consob (o autorità equivalente negli altri Paesi europei).

I casi in cui l’obbligo di pubblicazione del prospetto informativo non ricorre sono previsti espressamente dalla normativa suindicata: in essi, come ad esempio quando l’offerta è rivolta ad investitori qualificati o il suo controvalore è inferiore ad una certa soglia individuata nel Regolamento emittenti, il legislatore ha ritenuto che la protezione dell’investitore prevista dalla disciplina generale sia comunque garantita o dalle competenze in possesso dello stesso investitore o con la pubblicazione di un documento che l’autorità competente reputa equivalente al prospetto.

domenica 28 gennaio 2018

Servizi accessori



I soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento possono prestare anche quelli che il TUF definisce servizi accessori, vale a dire:

- custodia e amministrazione di strumenti finanziari;
 locazione di cassette di sicurezza;
- concessione di finanziamenti per effettuare operazioni relative a strumenti finanziari in cui interviene il soggetto che concede i finanziamenti;
- consulenza alle imprese in materia di struttura finanziaria, industriale e in materia di concentrazione e acquisti di imprese; 
-  servizi connessi all'emissione o al collocamento di strumenti finanziari;
 ricerca in materia di investimenti, analisi finanziaria o altre forme di raccomandazione generale riguardanti strumenti finanziari;
intermediazione in cambi collegata alla prestazione di servizi di investimento.

A differenza dei servizi di investimento, per prestare servizi accessori non occorre alcuna autorizzazione: possono dunque prestarli anche soggetti non autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento.
Se tuttavia vengono prestati da intermediari autorizzati, essi devono rispettare le norme di condotta sancite per i servizi di investimento.

giovedì 25 gennaio 2018

Consulenza in materia di investimenti



La consulenza in materia di investimenti è un servizio di investimento in cui il consulente finanziario, di sua iniziativa o dietro richiesta del cliente, fornisce consigli o raccomandazioni personalizzate su una o più operazioni relative ad un determinato strumento finanziario.
Affinché consigli e raccomandazioni personalizzate possano definirsi consulenza, tuttavia, devono essere adatti al cliente e/o basati sulle sue caratteristiche di risparmiatore/investitore: non costituiscono consulenza in materia di investimenti, quindi, le raccomandazioni e i consigli rivolti al pubblico con mezzi di comunicazione di massa e che non suggeriscano di acquistare, vendere, scambiare o anche continuare a detenere un dato strumento finanziario.
Non rientrano nell’ambito della consulenza in senso stretto, di conseguenza, tutti quei consigli che di prassi gli intermediari forniscono in merito non ad un determinato strumento finanziario ma ad un tipo di strumento finanziario o alla composizione del portafoglio: si parla, in questi casi, di mera consulenza generica.

Si tratta di un’attività che può essere un momento propedeutico e strumentale a tutti i servizi di investimento e della consulenza in senso proprio e gli intermediari, nel prestarla, devono rispettare le regole previste per il servizio che stanno proponendo.

venerdì 19 gennaio 2018

Gestione di portafogli



Un intermediario può ricevere da un cliente anche l’incarico di impiegare il suo risparmio, in parte o in tutto, in strumenti finanziari attraverso il servizio di gestione di portafogli.
L’intermediario deciderà, dunque, per conto del cliente quali strumenti finanziari andranno a far parte del suo portafoglio per valorizzarlo e provvederà a tutte le operazioni necessarie per acquistarli o venderli.
Volendo, lo stesso cliente potrà ordinare di acquistare o vendere determinati titoli.

Prima di prestare il servizio, l'intermediario è tenuto a valutare che il servizio offerto (o richiesto) sia adeguato per il cliente: sulla base delle informazioni acquisite dal cliente stesso, esso deve corrispondere ai suoi obiettivi di investimento senza esporlo a rischi da lui non sopportabili o non comprensibili.
Il giudizio di adeguatezza dovrà riguardare, in primis, lo stesso servizio: ogni linea di gestione si differenzia, infatti, in base alle caratteristiche e al grado di rischio.
Ma anche nello svolgimento del servizio finanziario l’intermediario dovrà sempre valutare che anche ogni singola operazione di investimento sia adeguata per il cliente, modellando così la gestione sulle sue specifiche caratteristiche e esigenze.

lunedì 15 gennaio 2018

Sottoscrizione e/o collocamento con o senza assunzione a fermo ovvero assunzione di garanzia nei confronti dell'emittente



L’offerta al pubblico (c.d. sollecitazioni all’investimento) di strumenti finanziari da parte delle società emittenti avviene tramite intermediari che contattano gli investitori attraverso le loro reti distributive.

Il servizio di sottoscrizione e/o collocamento in carico ad essi, in sostanza, avviene mediante la distribuzione di strumenti finanziari nell’ambito di un’offerta standardizzata e sulla base di un accordo con l’emittente (o l’offerente) e si può manifestare in diverse forme.

Una prima suddivisione riguarda le operazioni di sottoscrizione o di collocamento. La prima si ha quando i titoli offerti sono di nuova emissione e vengono immessi per sul mercato per la prima volta. Si ha invece collocamento quando si tratta di titoli già emessi successivamente scambiati.

Il collocamento o la sottoscrizione, a loro volta, possono essere realizzati in forma pubblica, dunque rivolti indistintamente a tutti gli investitori, o in forma privata, quando indirizzati ad un gruppo selezionato di investitori, di norma professionali (banche, compagnie di assicurazione, etc.).

Il collocamento o la sottoscrizione, ancora, possono avvenire "con" o "senza" assunzione a fermo o assunzione di garanzia nei confronti dell'emittente.
Nel caso di collocamento "senza", l'intermediario assume solo l'obbligo di ricercare presso il pubblico i soggetti interessati alla sottoscrizione o all'acquisto degli strumenti finanziari da collocare: il rischio di un eventuale insuccesso nel collocamento ricade esclusivamente sull'emittente.
Se, invece, l'intermediario sottoscrive o acquista egli stesso preventivamente i titoli, o comunque presti una garanzia per il buon esito dell'operazione, assume su di sé anche tale rischio: se i titoli dovessero restare invenduti, l'intermediario collocatore ne rimarrebbe  proprietario, se li aveva preventivamente acquistati, o sarebbe obbligato ad acquistarli qualora aveva assunto una garanzia di questo tipo.

venerdì 12 gennaio 2018

Ricezione e trasmissione di ordini



Per l’acquisto o la vendita di un titolo è possibile rivolgersi, oltre che ad un intermediario autorizzato all'esecuzione di ordini, anche ad un intermediario che propone il servizio di ricezione e trasmissione di ordini.
Con esso l'intermediario che riceve un ordine di acquisto o di vendita non lo esegue direttamente (come farebbe l'esecutore di ordini), ma lo trasmette, a sua volta, ad un altro intermediario per la sua esecuzione.

Attraverso questo servizio di investimento il cliente delega al proprio intermediario la scelta di un altro intermediario che dovrà eseguire l'ordine. Toccherà quindi al trasmettitore di ordini individuare il negoziatore in grado di ottenere il miglior risultato possibile (che per un comune risparmiatore equivale al miglior corrispettivo totale).

Per individuare il negoziatore più adeguato, l’intermediario che trasmette l’ordine ricorrerà alla sua esperienza e alla sua professionalità per valutare le strategie di esecuzione di ordini dei vari intermediari operanti sul mercato.
Per  scegliere il trasmettitore di ordini, a sua volta, l’investitore potrà valutare la strategia di trasmissione con cui l'intermediario individua per ciascuna categoria di strumenti finanziari i soggetti negoziatori ai quali trasmettere l'ordine.

Al di là di queste differenze (molto nette dal punto di vista concettuale), si intravedono molte analogie con il servizio di esecuzione di ordini per quanto riguarda le modalità di conferimento degli ordini, gli obblighi informativi in capo all'intermediario, e quelli di valutare l'appropriatezza delle operazioni e di fornire la rendicontazione del servizio prestato.