Per questo fine è più comodo analizzare il rapporto tra debito pubblico e PIL (Prodotto interno lordo) di un Paese.
Dividendo i membri dell’equazione
Bt = (1 + r)Bt-1 + Gt - Tt
per il reddito Yt otteniamo:
Bt/Yt = (1+r) Bt-1/Yt + Gt-Tt/Yt
Riscrivendo la crescita del PIL, g = (Yt - Yt-1)/Yt-1, nella formula Yt = Yt-1 (1 + g) e, assunta la stabilità dei prezzi, e dunque la coincidenza di tasso d’interesse reale e tasso d’interesse nominale, r = i , essa diventa:
Bt/Yt = (1 + r/1 + g) x (Bt-1/Yt) + (Gt - Tt )/Yt
Il rapporto (1 + r/1 + g) può essere riscritto nella formula (1 + 𝑟 − 𝑔).
Indicando poi con il rapporto debito/PIL, il trend di lungo periodo di questo diventa:
bt = (1 + r -g)bt-1 + (Gt - Tt)/Yt
Tale equazione, che parte dallo studio della relazione tra debito pubblico e crescita economia di Domar (1944), evidenzia come la sostenibilità del debito è data dalla reazione tra il tasso di interesse su di esso e la crescita della ricchezza.
Dal rapporto tra queste due grandezze e dal saldo primario dipenderà quindi la dinamica del debito pubblico nel lungo periodo: maggiore risulterà la differenza tra tasso di interesse e crescita della ricchezza, più il Governo dovrà generare importanti saldi primari per scongiurare l’esplosione del rapporto debito/PIL; più un Paese avrà un tasso di crescita economica maggiore del tasso di crescita del debito, anche generando disavanzi primari negli anni, meno problemi recherà il debito in quanto il suo rapporto con il PIL convergerà ad un punto di equilibrio, ad uno stato stazionario.
In questo secondo caso, riprendendo parte della teoria keynesiana, si potrà sostenere l’espansione del reddito attraverso l’indebitamento e se le politiche di spesa in deficit saranno abbastanza produttive da generare una crescita economica maggiore del tasso di interesse, lo Stato non sarà costretto nemmeno ad aumentare la pressione fiscale per far fronte al debito pubblico.
Lo Stato, in altri termini, più che temere di generare disavanzi che faranno lievitare il debito dovrà impegnarsi soprattutto a garantire una crescita economica in grado di sterilizzare gli effetti dell’aumento del debito.
D’altronde, il concetto è lo stesso per i prestiti alle imprese: così come un’impresa che ha ottenuto finanziamenti ad un dato tasso di interesse e che è in grado di investirli in attività aventi un rendimento maggiore del costo di finanziamento non patisce il problema dell’onere del debito, allo stesso modo lo Stato non dovrà aumentare le imposte se le politiche di spesa in disavanzo producono incrementi della ricchezza con i quali saranno pagati gli interessi.
Si individua, quindi, un’area di sostenibilità del debito, all’interno della quale il rapporto tra debito e ricchezza resta stazionario o diminuisce, data dalla relazione:
(Gt - Tt)/Yt - (r - g) Bt-1/Yt
se r < g il secondo fattore è positivo e il saldo è negativo senza che si verifichi un aumento dell’incidenza del debito sul PIL;
se r > g, viceversa, il governo dovrà generare un avanzo primario per lo stesso ammontare se vuole evitare che il rapporto aumenti.
Il problema della sostenibilità del debito dipende, in sostanza, soprattutto dalla differenza tra tasso di interesse e tasso di crescita del reddito.
Nel lungo periodo queste due variabili ricoprono un ruolo determinante sull’andamento dal rapporto debito/PIL, facendo passare in secondo piano l’importanza del saldo primario.
Ovviamente le politiche di disavanzo non potranno comunque essere spinte fino all’infinito: prima o poi il debito raggiungerà un livello che farà precipitare il sistema finanziario in crisi.
Il fattore (r – g) che moltiplica lo stock del debito diventa (1+ i – π – g): affinché l’inflazione produca l’effetto di ridurre il rapporto tra debito e PIL e limare lo stock del debito è necessario, in primo luogo, che una quota importante dei titoli del debito pubblico sia a lunga scadenza.
In questo modo l’aumento improvviso del livello dei prezzi farà diminuire, in termini reali, l’onere del debito per lo Stato.
Una situazione che si è verificata in Italia nel periodo di grande inflazione ma che nel panorama odierno, invece, l’indicizzazione dei titoli a tale parametro e la preferenza di titoli a breve termine da parte dei mercati finanziari hanno reso del tutto inefficace.
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