sabato 9 luglio 2016

Il debito pubblico italiano negli anni Settanta


Gli anni Settanta sono gli anni della crescita smisurata del debito sovrano italiano.
L’Europa, dopo decenni segnati da una costante crescita in termini di benessere economico e sociale e in piena rimodulazione della segmentazione delle classi sociali, conosce una drastica battuta d’arresto a causa di una crisi economica che non solo ne rallenta la crescita, ma mette in discussione tutti i capisaldi del capitalismo.

Gli anni Sessanta si erano conclusi con le proteste del ’68 e il cosiddetto ‘autunno caldo’, che avevano spinto ad un aumento dei costi di produzione (e, soprattutto, dei salari) non accompagnato tuttavia da una corrispondente crescita economica, anche per l’incapacità degli esecutivi (e dei parlamenti) di dare vita ad un'aumento degli investimenti e/o ad una razionalizzazione delle spese che contrastasse seriamente l’impennata dei costi.
Banca d’Italia, inoltre, per calmierare la speculazione sul sistema Paese e controllare il circolante, tra il 1969 e il 1970 aveva effettuato imponenti operazioni di acquisto sul mercato dei titoli, arrivando a possederne quasi il 25% del totale in circolazione, riducendo, allo stesso tempo, la linea di credito abitualmente concessa al Tesoro.
Nei primi anni del ’70 partiva la “regionalizzazione” del Paese e il tentativo di decentrare il potere dagli apparati ministeriali agli enti territoriali: la crescita costante della spesa pubblica era ormai una realtà, anche se ancora al di sotto della media europea (40% del Pil).
Le politiche statali erano però ormai basate sui disavanzi di bilancio e gli investimenti pubblici in infrastrutture sociali che contrastassero la decrescita economica non riuscivano a generare quel necessario aumento delle entrate che potesse fare da contraltare alla spinta al rialzo dell’indebitamento statale.  
Il debito era allora composto per circa il 37% da titoli a lungo termine, dalla raccolta postale mediante i debiti contratti con la Cassa Depositi e Prestiti, da impieghi bancari, da titoli a medio termine e da un, ancora, ridotto debito estero.
Circa il 30% di esso era nelle mani di imprese, privati e famiglie, mentre gli intermediari finanziari e Banca d’Italia concentravano le loro acquisizioni sui titoli a più lungo termine.  
Il 90% del totale della situazione debitoria dello Stato era comunque in mano a soggetti residenti.

Tra il 1971 e il 1972 la decisione di Nixon di sospendere gli accordi di Bretton Woods innescava una spirale speculativa su scala globale e un aumento dell’inflazione in tutti i paesi europei, con conseguente aumento della propensione al risparmio delle famiglie, che investivano in titoli pubblici, e del fabbisogno finanziario dello Stato per fronteggiare la scricchiolante situazione sociale.
Il debito italiano raggiungeva rapidamente la soglia del 50% del Pil.

Con i prestiti concessi dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) nel 1974 e nel 1978, in occasione dei due shock petroliferi, con il Paese che, grazie alla crisi, rischiava, secondo i timori degli alleati, di finire in mano al partito comunista, il debito pubblico assumeva connotati non più economici ma prevalentemente politici, facendo registrare un’ulteriore impennata.
Una corsa che proseguirà poi a seguito del  “compromesso storico” tra DC e PCI, basato sul contenimento dell’aumento del costo del lavoro in cambio di maggiori investimenti pubblici in materia di assistenza sanitaria, istruzione, previdenza sociale, accesso alla cultura e difesa del verde e che non s’arresterà nemmeno di fronte ai vari tentativi di spendig review introdotti legislativamente sul finire del decennio.

Alla soglia degli anni Ottanta, complice il calo generale di fiducia sul sistema Italia da parte dei mercati internazionali e il conseguene rialzo dei tassi di’interesse a breve e medio periodo a carico delle casse dello Stato, il debito pubblico era arrivato al 60% del Pil, superando la media europea: la spesa corrente era ormai del tutto scollegata dalle entrate fiscali e il nostro debito sovrano, tramite il ricorso a prestiti e all’emissione “a raffica” di titoli pubblici da parte dello Stato, assumeva l’odierna configurazione.

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