mercoledì 25 febbraio 2015

Gli strumenti anti-crisi della Bce: l’acquisto di Asset backed securites (Abs)

Quantitative Easing, operazioni di rifinanziamento a lungo termine, riduzione dei tassi d’interesse di riferimento con annesso tasso negativo sui depositi presso la Banca centrale: per far fronte alla recessione, riavviare i consumi e allontanare lo spettro della deflazione la Bce ha fatto ricorso ad ogni strumento, convenzionale e non, disponibile nel suo arsenale.
Con lo stile poco pomposo di Mario Draghi (e del board tutto) e sotto la supervisione mai celata della Germania, locomotiva d’Europa e obiettivo ultimo della speculazione sul debito sovrano dei Paesi Ue, l’Eurotower non ha escluso alcuna strada per iniettare liquidità nel sistema, compreso l’acquisto dalle banche di titoli Abs, annunciato ad ottobre dello scorso anno ed accolto con molto fervore dai mercati.

Le Asset backed securites (Abs) sono titoli derivati, strumenti finanziari che si basano su altri strumenti sottostanti emessi a fronte di operazioni di cartolarizzazione. Hanno una struttura molto simile alle normali obbligazioni e come queste pagano delle cedole a scadenze prefissate al detentore determinate sulla base di tassi di interesse fissi o variabili. A differenza delle obbligazioni tuttavia il loro rimborso è legato al perfezionamento della prestazione sottostante.
Nello specifico, l’acquisto da parte della Bce riguarda derivati bancari costruiti su prestiti concessi alle imprese confezionati in un unico titolo finanziario. Il rimborso di questi titoli Abs dipende quindi dal fatto che i prestiti sottostanti siano effettivamente rimborsati dalle imprese alle banche.
Condizione essenziale per l’acquisto, ha chiarito il numero uno della Bce, Mario Draghi, ricordando il fenomeno “mutui sub-prime”, è che si tratti di titoli «semplici e trasparenti».

giovedì 19 febbraio 2015

Long term refinancing operation: le operazioni della Bce tra il 2011 e il 2012



I long term refinancing operazion (LTRO) sono delle operazioni di mercato aperto condotte dalla Bce per la gestione dei tassi di interesse e della liquidità nell’area euro. Attraverso la vendita o l’acquisto di liquidità a date condizioni sul mercato, in altri termini, la Banca centrale europea cerca di regolare la liquidità generale nel sistema.
Lo strumento più adoperato è quello delle operazioni “pronti contro termine”, strumenti a breve basati sull’acquisto o la vendita di un bene (o titoli) con l’obbligo di restituirlo (o riscattarlo) a termine pagando gli interessi pattuiti.

E’ il caso delle operazioni di LTRO a cui ha fatto ricorso la Bce di Mario Draghi tra la fine del 2011 e i primi mesi del 2012 per far fronte alla crisi di liquidità dell’Eurozona, fornendo alle banche dell’eurosistema circa mille miliardi di euro in finanziamenti di breve a un tasso dell’1%.

Nella prima operazione, quella del 21 dicembre del 2011, la Banca centrale ha collocato con un’asta circa 490 miliardi di euro con scadenza 29 gennaio 2015 e tasso di riferimento all’1%, con l’opzione di pagamento anticipata a un anno, presso 523 banche offerenti.
Due mesi dopo, il 29 febbraio 2012, con un’altra asta l’Eurotower ha fornito alle banche quasi 530 miliardi di euro di liquidità con scadenza al 26 febbraio 2015.

L’obiettivo delle due operazioni di rifinanziamento era quello di rendere più accessibile il credito nell’Eurozona e allentare così la stretta creditizia, incoraggiando al contempo le banche a ricomprare parte del debito sovrano dei Paesi europei (da concedere poi come garanzia “collaterale”) che in quei mesi, specie quelli cosiddetti “periferici”, erano oggetto di forte speculazione internazionale.
Gran parte della liquidità ottenuta è stata tuttavia utilizzata dalle banche per riacquistare i propri titoli (anch’essi sotto pressione) e dare maggiore consistenza al proprio capitale in previsione dei maggiori controlli delle autorità bancarie europea circa tale requisito.
Uno sviamento dal fine che ha spinto la Bce a intervenire poi mediante le operazioni di Quantitative Easing.




venerdì 13 febbraio 2015

La crisi globale e i tappi della Bce: il long term refinancing operation (LTRO)

Non solo Quantitative Easing.
Dall’inizio della crisi del debito sovrano dei Paesi Ue la Bce ha adottato diversi strumenti  di politica monetaria cosiddetti “non convenzionali” per calmierare la speculazione sui conti dei singoli Stati membri dell’Unione europea e allontanare l’incubo stagnazione (e deflazione).
Tra questi si evidenzia il ricorso al long term refinancing operation (LTRO), il piano di rifinanziamento a lungo termine voluto da Mario Draghi, un’operazione che per tanti aspetti ricalca quelle di alleggerimento quantitativo adottate dalla Federal Reserve e dalla Banca del Giappone.

L’LTRO è un prestito che la Banca centrale europea concede alle banche richiedenti mediante un’asta di liquidità, di durata triennale e con un tasso d’interesse dato dalla media del tasso sulle operazioni di rifinanziamento principali calcolata nel periodo della stessa operazione.
In cambio la Bce riceve come garanzia "collaterale" dagli istituti di credito obbligazioni governative (titoli degli stati membri Ue), anche se prive di valore (come per i titoli emessi dalla Grecia, dichiaratasi insolvente).
La lista dei titoli eleggibili come garanzia collaterale è sul sito della Banca centrale europea ed è aggiornata più volte al mese.

lunedì 9 febbraio 2015

Perché il Quantitative Easing?

La Bce ha fatto ricorso al Quantitative Easing per aumentare la liquidità in circolazione ed allontanare lo spettro deflazione, più che un semplice timore nelle aree più depresse dell’Unione europea.
Tra le conseguenze più immediate del QE c’è infatti l’impatto sull’andamento del tasso d’inflazione, il costo della vita, e del potere di acquisto della moneta. In sostanza, più denaro si immette in circolazione con operazioni “non convenzionali” come il QE e più si riduce il valore della moneta (svalutazione), con conseguente aumento dei prezzi in quanto il denaro utilizzato per fare acquisti vale di meno.
Motivo per il quale sale l’inflazione, prospettiva di solito percepita come negativa (aumentano i prezzi e si impoveriscono le famiglie) ma che in uno scenario caratterizzato dall’incubo deflazione, vale a dire una progressiva diminuzione dei prezzi che non lascia intravedere un’uscita dalla recessione, diventa il “male minore” se non proprio il primo segnale di una ripresa della domanda.

Lo spettro deflazione. Il circolo vizioso legato alla deflazione è d’altronde ben identificabile.
Privati e aziende rinviano i loro acquisti non indispensabili perché vedono i prezzi continuare a scendere e aspettano quindi altri cali.
La domanda di beni e servizi si mantiene di conseguenza debole e i produttori e i fornitori riducono i prezzi ulteriormente sperando di stimolare così gli acquisti. I ricavi delle imprese si contraggono sempre di più e iniziano i tagli, partendo dai costi che incidono di più sui loro bilanci, di solito i dipendenti.
Meno ricavi vuol dire anche meno possibilità di pagare costi ed interessi, per cui le azienda smettono anche di chiedere credito alle banche. Ed anche quelle che vorrebbero ricorrere all’indebitamento presso un istituto di credito sono penalizzate dalla stretta creditizia (credit crunch), ovvia conseguenza delle fasi recessive dell’economia ed altro scenario che il ricorso al QE dovrebbe scongiurare (o allontanare).

Il sistema del Quantitative Easing dovrebbe permettere, almeno in teoria, di intervenire subito sull’andamento dell’inflazione, in modo che il tasso torni a salire (il 2% sembrerebbe la soglia ottimale in ambito Ue) e si riavviino così i meccanismi economici.
È una soluzione da tempo seguita dalla Banca del Giappone, che già dagli inizi degli anni ’90 cominciò ad acquistare titoli dalle banche per scongiurare la deflazione e riavviare la domanda dall’estero dei beni prodotti all’interno, e adottata più volte dalla Federal Reserve per stimolare l’economia Usa e cercare di uscire dalla crisi partita ormai sette anni fa.


photo credit: Mario Draghi presents his credentials as candidate ECB president via photopin (license)

lunedì 2 febbraio 2015

Che cos’è il Quantitative Easing della Bce

La Banca centrale europea lo scorso 22 gennaio ha varato il tanto atteso piano di acquisti di titoli ampliato alle emissioni pubbliche: 60 miliardi di euro al mese a partire dal prossimo mese e fino a settembre 2016.
Il tetto fissato per gli acquisti è il 25% di ciascuna emissione e il 33% del debito pubblico dei Paesi emittenti.
Il programma del Quantitative Easing (QE) della Bce, nello specifico, prevede che il 20% del rischio legato ai titoli acquistati sia condiviso a livello europeo, mentre l’80% resterebbe a carico delle Banche centrali dei rispettivi Paesi.

Il Quantitative Easing è uno strumento per creare moneta, per iniettare cioè denaro in circolazione in modo che l’economia reale ottenga prestiti dalle banche e ricorra più facilmente agli investimenti.
Con esso una banca centrale propone alle banche di ricomprarsi i titoli, solitamente a condizioni vantaggiose, nell’auspicio che con il denaro ottenuto dalla vendita i singoli istituti bancari semplifichino l’accesso al credito, ampliando quindi la possibilità per i loro clienti, privati e imprese, di ottenere denaro in prestito più facilmente e a tassi d’interesse contenuti.
L’acquisto di titoli di Stato da parte della Banca centrale europea riduce infatti il costo del debito degli Stati membri e, contemporaneamente, immette nuova liquidità sui mercati. Si ha così un deprezzamento della valuta comune e un miglioramento delle esportazioni nei confronti dei Paesi la cui moneta si sta apprezzando contro l’euro e delle condizioni di accesso al credito da parte di famiglie e imprese, contro un aumento dei prezzi reali di beni e servizi a seguito della perdita del potere d'acquisto della moneta (inflazione).