mercoledì 28 gennaio 2015

Il Quantitative Easing targato Mario Draghi: il piano della Bce per allontanare lo spettro della deflazione

I proclami c’erano stati, i mercati lo aspettavano e lo spettro della deflazione lo invocava. E così il Quantitative Easing di Mario Draghi è arrivato, spiazzando addirittura le aspettative. Il piano di acquisti di titoli ampliato alle emissioni pubbliche deciso dalla Banca centrale europea lo scorso 22 gennaio ammonta infatti a 60 miliardi di euro al mese a partire da marzo e fino a settembre 2016, e comunque finché l’inflazione non si stabilizzerà a livelli vicini all’obiettivo fissato del 2%, contro i 50 miliardi al mese per 22 mesi previsti dagli operatori di mercato. Il tetto fissato per gli acquisti è il 25% di ciascuna emissione e il 33% del debito pubblico dei Paesi emittenti. Per quanto riguarda la condivisione del rischio default dell’emittente, questione molto controversa all’interno del board di Francoforte, il programma, nello specifico, prevede che il 20% del rischio legato agli asset acquistati sia condiviso a livello europeo, mentre l’80% resterebbe a carico delle Banche centrali dei rispettivi Paesi.
Gli acquisti saranno ponderati secondo la partecipazione delle Banche centrali degli Stati membri nel capitale della Bce: l’Italia sarebbe destinataria di un piano di circa 104 miliardi di euro.

Perché il QE? Il board della Bce ha precisato che il Quantitative Easing deliberato questo mese è uno strumento di politica monetaria.
Una delle ‘armi non convenzionali’ con cui Francoforte conta di allontanare lo spettro della deflazione e stimolare una ripresa dell’economia nell’Eurozona, con l’obiettivo dichiarato di riportare il tasso di inflazione vicino al 2% (nelle aree periferiche è già deflazione).
L’acquisto di titoli di Stato da parte della Banca centrale europea, in teoria, riduce infatti il costo del debito degli Stati membri e, allo stesso tempo, immette nuova liquidità sui mercati.
Ciò provoca un deprezzamento della valuta comune e un miglioramento dell’export verso i Paesi la cui moneta si sta apprezzando contro l’euro e delle condizioni di accesso al credito da parte di famiglie e imprese.