sabato 30 aprile 2016

CM 01/02: 2001/02, la squadra prima di tutto


(notizie mercato - foto scaricata dal web)


I soldi incassati dalla cessione di Mijatovic, gli incassi delle partite di Coppa Italia e Uefa erano stati divorati dalle spese correnti e i fondi per i trasferimenti (7 milioni di euro circa) non consentivano di tuffarsi in chissà quale asta: dovevo mirare a qualcuno che aveva il contratto “non protetto” (e relativa penale di rescissione “modesta”) o in scadenza (situazione che limita fortemente i rilanci da parte dell’altra società, soprattutto se ha seri dubbi che il suo tesserato voglia rinnovare).
E nel frattempo rescindevo il contratto di Gruzzo, Crocetti e Massaro con sei mesi di anticipo rispetto alla scadenza naturale: per le potenzialità mostrate in allenamento o nelle partite della squadra riserve, non erano ancora pronti per giocare in prima squadra e purtroppo, pur rimmettendoci quattrini (senza neanche tentare di cederli durante la finestra di mercato invernale), dovevo fare spazio in rosa. Ero sicuro, inoltre, che avrebbero trovato subito chi li ingaggiasse e, soprattutto, che li facesse giocare.
La sera stessa dichiaravo cedibile Leandro, Vakouftsis, Robbiati (in scadenza contratto a giugno), Amaral, Ficagna, Palombo, Bertolucci, Agostini, Franceschetti e Fedeli, facendo un’offerta di 3,8 milioni di euro al Perugia per Blasi.

Nell’attesa della prima delle tre amichevoli che avevo organizzato per il dopo Natale, ricevevo il netto rifiuto del Perugia all’offerta per Blasi. Nella trattativa si era inserita anche la Juventus, che qualche mese più avanti concluderà l'affare per 7,5 milioni di euro.  
Con il Cagliari al Sant’Elia, l’Empoli al Franchi e il Crotone all’Ezio Scida, avrebbero giocato (salvo infortuni in allenamento) Rossitto a Baronio sull’asse mediano del centrocampo, da sostituire nel secondo tempo, nell’ordine, con Benin e Amoroso, Morfeo alla loro sinistra e Marco Rossi a destra (con Riccardo Taddei che sarebbe subentrato durante la ripresa), Repka e Ficagna difensori centrali con ordine tassativo di marcare a uomo i diretti avversari, Emiliano Moretti a sinistra (impiegato come terzino marcatore alle spalle di Morfeo, schierato come centrocampista sinistro ma pur sempre un attaccante), Tarozzi difensore destro, Leandro prima punta e Ganz seconda con il compito di accentrarsi a centrocampo durante le fasi difensive e le ripartenze. Nella ripresa, a Vakouftsis e Robbiati sarebbe toccato, rispettivamente, replicare il gioco dei due attaccanti titolari.  
Titolare tra i pali Pino Taglialatela, ormai anche a Firenze, come in precedenza a Napoli, un talento “atrofizzato” (e non per colpa sua). Nel secondo tempo avrei  fatto giocare una decina di minuti Mario Cassano: Taglialatela era in scadenza contratto e prima di tuffarmi alla ricerca di un nuovo secondo di Manninger volevo osservare meglio questo diciottenne (cresciuto nelle giovanili del Monza) promosso nella squadra riserve dopo aver difeso egregiamente i pali della Primavera viola.  
Con il giovane e promettente portiere e Benin, Amoroso, Vakouftsis, Robbiati e Taddei, in panchina sarebbero andati Adani, Pierini, Palombo e Ceccarelli.
Tra quelli che dopo metà stagione avrei potuto definire titolari, gli unici impiegati erano dunque Adani e Amoroso: il primo, con Pierini, avrebbe dovuto assistere alle nuove disposizioni campo che avevo deciso per chi avrebbe ricoperto il suo ruolo e provarle anch’egli per almeno una ventina di minuti; dal secondo mi aspettavo ancora quelle conferme sul suo essere il perno del centrocampo (anche presente, perché di potenzialità ne aveva tantissime) attorno al quale provare a reinventare il reparto, anche ricorrendo al mercato.

Mentre rivedevo la rosa che stavo per impiegare nelle tre amichevoli programmate dal 27 dicembre al 3 gennaio, ripercorrevo anche gran parte della stagione già affrontata e individuavo nell’eccessivo ricorso al turn-over uno degli ulteriori tasselli che aveva contribuito a frenare le potenzialità della squadra, per quanto reputassi necessario fin dalla prima partita cercare di coinvolgere i migliori, tenerli in forma e pronti per giocare da titolari in qualsiasi occasione e calmierare le tensioni che gli esclusi avrebbero contribuito ad alimentare.
Nel clima infernale in cui eravamo precipitati era necessario invece spingere sugli elementi che più si erano distinti e che, grazie a grinta, professionalità e capacità di adattamento alle variazioni in corso, oltre che qualità delle prestazioni, riuscivano a porsi come punti di riferimento per tentare di invertire il trend dei risultati e le sorti del club.
Adani aveva tutte le carte in regola per diventare il baluardo della difesa (e della squadra), quello che poi definirò il “mitico”, anche se all’epoca non avevo ancora una chiara strategia nello scegliere chi potesse diventare il riferimento di portiere, difesa e, di conseguenza, dell’allenatore e dei suoi collaboratori.
Al suo fianco era Pierini quello che dava maggiore solidità al reparto e il turn-over che gli avevo fatto fare con Repka, almeno fino a dicembre, era stato dettato più dall’esigenza di tenere in forma (e quieto) il secondo che dal rendimento dell’ex Udinese. Magari passando ad una marcatura ad uomo, come stavo chiedendo a chi avesse ricoperto il ruolo di difensore centrale, avrebbe avuto bisogno sul serio di alternarsi con qualcuno (giocava a zona da una vita e in CM 0102 era particolarmente lento e poco scattante, ma dotato di grandi abilità in elevazione, senso della posizione, gioco di squadra e marcatura), ma Repka era comunque pronto a giocare, anche perché avevo l’intenzione di utilizzarlo anche come difensore destro, un’alternativa a Tarozzi e Torricelli, meno marcatori di lui e in affanno soprattutto quando gli avversari schieravano una mezzapunta o un trequartista avanzato.
Di Livio, pur con caratteristiche fisiche diverse, era l’unico in grado di sostituire Cois. Torricelli, che poteva alternarsi a centrocampo e in difesa, era un elemento essenziale della squadra.


Gonzalez era stato fino ad ora il più costante a spingere dalla metà campo in su (e autore di 7 reti, 6 assist, 1,2 contrasti e 3,2 dribbling a partita), Marco Rossi il più promettente e talentuoso dei centrocampisti, ma aveva dato forti segni di non essere ancora pronto fisicamente per reggere il ritmo di partite che avevamo affrontato fino ad ora. Il dubbio, come ho più volte rimarcato, restava Amoroso ed ero intenzionato a cercare un’alternativa sul mercato. Avevo deciso che tra un’amichevole e l’altra, mentre i miei osservatori seguivano Allegretti, mi sarei dedicato più seriamente alla ricerca di un centrocampista degno di giocare in prima squadra e, in generale, al mercato. Anche per ingaggiare già a gennaio qualche elemento che si sarebbe poi aggregato alla squadra a giugno, una volta scaduto il contratto che aveva con l’altro team.
Dopo la prima amichevole, pareggiata 2-2 con il Cagliari, arrivarono le prime offerte per alcuni dei giocatori che avevo dichiarato cedibili. Di rado avevo provato la sensazione di un riscontro così rapido da parte del mercato: di solito, salvo che per la stella della squadra che stavo gestendo, dovevo aspettare anche mesi (o anni) affinché ciò accadesse. Spesso, anzi, per liberarmi di un elemento in vendita avevo dovuto aspettare addirittura la scadenza del contratto per inserirlo nella lista gratuita.
L’Atletico Mineiro mi offriva 3,8 milioni per Amaral, ma avevo immediatamente rilanciato per 4,5 milioni. Il Siena 1,7 milioni per Ficagna, l’Ancona (dove qualche anno dopo si trasferirà sul serio) 750mila euro per Robbiati, il San Palo 7,8 milioni (poco meno del valore del suo cartellino) per Leandro, il Pro Patria 350mila per Ceccarelli, la Spal 410mila euro per Fedeli.  E Vakouftsis era seguito dagli osservatori del Paok Salonicco, mentre quelli di Genoa, Sampdoria, Udinese, Perugia e Lazio si stavano dedicando costantemente a Marco Rossi. Non ero il solo a vedere un grande futuro per il fluidificante-ala non ancora 24enne (e futura bandiera del Genoa dopo una parentesi al Como).

Lato acquisiti, avevo individuato due possibili soluzioni a centrocampo sulla carta davvero allettanti: Marc-Vivien Foé, centrocampista dell’Olimpique Lione e della nazionale camerunense, e Esteban Cambiasso, nazionale argentino in prestito al River Plate dal Real Madrid, entrambi con contratto in scadenza a giungo. Lanciavo la mia offerta di 3,7 milioni al Real per Cambiasso, nell’auspicio che la scadenza del contratto a breve  e il malumore del calciatore per i continui parcheggi in prestito spingesse i “blancos” ad accontentarsi della somma piuttosto che aspettare che se ne andasse a parametro zero in estate.
Stavo anche annotandomi i nomi di altri calciatori che avevano il contratto in scadenza a giugno e che per caratteristiche tecnica e tattiche avrebbero potuto arricchire la mia rosa, come Marco Zamboni e Massamasso Tchangai dell’Udinese, Hilário e Claudio Paris del Perugia, Vincenzo Sommese del Vicenza,  Nicola Mora e Matuzalém del Piacenza, Klaas-Jan Huntelaar del PSV e Antonio Pacheco dell’Inter.
Formulavo inoltre la mia offerta per Mirko Pieri, 2,1 milioni di euro, e cominciavo a preparare l’amichevole casalinga contro l’Empoli e quella pochi giorni dopo a Crotone contro la compagine calabrese.

Altri due pareggi, un secco rifiuto del Real per la cessione di Cambiasso e Rossitto che avevo dovuto sostituire dopo solo un tempo di gioco in tutte le tre amichevoli.
Il 2002 era iniziato in perfetta sintonia con l’anno appena conclusosi: di goal ne subivamo fin troppi, il centrocampo andava costruito e riadattato ad ogni partita (o durante la stessa) e i tifosi erano più che spazientiti. Avevo subito delle dure contestazioni anche dopo il pareggio in casa con l’Empoli, sempre un derby, anche se amichevole.  
Mi consolavano le buone prestazioni di Tarozzi, Moretti, Baronio, Morfeo e Repka (in veste di difensore destro) e la possibilità di schierare Moretti nel ruolo di terzino sinistro in alternativa a Vanoli, che intanto attirava l’attenzione della Roma.  
Con un solo terzino fluidificante (e quindi con un marcatore sul lato opposto) e due centrocampisti offensivi laterali particolarmente ispirati potevo gestire meglio i giocatori disponibili, facendo riposare a turno Vanoli, Torricelli e Tarozzi, e tirare avanti fino a giugno anche senza grandi acquisti.
Morfeo era sembrato riuscire ad adattarsi anche nel ruolo di esterno sinistro di centrocampo, ma avevo intenzione di utilizzarlo come seconda punta arretrata (al posto di Chiesa ma circa 15/20 metri più dietro) anche in qualche partita di campionato (lo avevo impiegato così soltanto in coppa Italia e negli ultimi minuti di un paio di incontri di coppa Uefa, quando la squadra evidenziava un netto calo fisico, oltre che di concentrazione, e bisognava difendere il risultato acquisito).
Adani e Pierini non erano sembrati in difficoltà per il cambio di tipo di marcatura che avevo impostato per i difensori centrali e Baronio, condizioni fisiche permettendo (non riuscivo a metterlo in forma), sembrava ancora un’ottima alternativa a Amoroso o Di Livio.
L’Atletico Mineiro aveva rilanciato fino a 4,8 milioni di euro per Amaral e non avevo esitato ad accettare l’offerta (come lo stesso calciatore brasiliano), Ficagna era passato al Siena, Robbiati aveva accettato l’offerta dell’Ancona, Ceccarelli era andato al Pro Patria e Fedeli alla Spal. Leandro era in fase di perfezionamento contratto con il San Paolo dopo che avevo accettato l’offerta del club carioca, mentre per 6,3 milioni l’incognita Vakouftsis si era trasferito al Paok.

Per Mirko Pieri l’Udinese aveva rilanciato fino a 4,9 milioni. Il calciatore aveva una clausola di rescissione pari a 3,7 milioni, molto più di quanto ero disposto inizialmente a versare, ma avevo deciso ugualmente di chiudere la trattativa e il pagamento della clausola era diventata la strada più economica e sicura. (continua)

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venerdì 22 aprile 2016

CM 01/02: 2001/02, al giro di boa sull'orlo del precipizio


A metà campionato eravamo messi male, quart’ultimi con altre 4 squadre, ma non lontanissimi dalla zona Uefa.
Eravamo ancora in corsa in coppa Italia grazie a qualche guizzo decisivo dei veterani che avevo in squadra e alle punizioni di Morfeo, Baronio e Robbiati.
Nelle partite del trofeo nazionale ricorrevo ad un turn-over, per scelta, all’inizio, e poi per necessità, che potrei definire oggi “forsennato”. Che i risultati arrivassero, direttamente e non, soprattutto su calci piazzati e qualche ottimo contropiede portato avanti da Torricelli e Di Livio non mi sorprendeva. Era il mancato inserimento dei tanti ottimi calciatori che avevo schierato in quegli incontri che mi colpiva. Anche se l’aver superato piuttosto agevolmente i primi tre turni di coppa Uefa mi aveva comunque confermato di avere in gestione una gran squadra, affetta però da diverse “sindromi”.
C’era chi aveva supposto di trovare tutt’altro ambiente prima di arrivare a Firenze (tutti, credo, visto che appena due anni prima i viola erano approdati alla Champions) ed ora si ritrovava a lottare per la sopravvivenza, chi aveva dato per scontato il “posto fisso” in squadra e non accettava né la panchina, tanti, né il turn-over, alcuni, chi si dichiarava molto preoccupato dalle voci sulle cattive condizioni in cui versava la società, ma anche chi sosteneva di meritare un club più blasonato o che aveva fatto un errore a trasferirsi in Italia.
Ezequiel Gonzalez le aveva esternate tutte. Ne avrei  fatto volentieri a meno, ma era troppo importante per la squadra, indipendentemente dal modulo. Fantasista, trequartista, ala, laterale puro, fisicamente e tecnicamente dotato e in grado di mettere in campo una grinta fuori dal comune (tra i pochi a confermare sul campo le potenzialità, i dati, desumibili dalla sua scheda), era diventato un titolare inamovibile fin dalla prima amichevole, ma aveva tutte la carte in regola per sconquassare lo spogliatoio.    

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(foto: una partita della Fiorentina nella Champions 1999-2000 in versione CM)


Chiuso il girone di andata, era tempo di fare un resoconto della situazione e sul parco giocatori a disposizione.
All’inizio avevo creduto essere il reparto difensivo quello da tener d’occhio, ma le noie maggiori venivano dal centrocampo   
Amaral era un vero talento, ma nelle poche apparizioni in campo, nonostante lo avessi fatto entrare spesso durante le amichevoli estive e le prime partite di Coppa Italia, era decisamente fuori forma: in quanto regista/mediano, aveva bisogno di giocare tantissime partite per diventare il “faro” del centrocampo. E in questo ruolo già “zoppicava” Amoroso, colui che aveva assunto ormai il gravoso incarico di sostituire Rui Costa come timoniere della squadra pur avendo caratteristiche quasi opposte al portoghese (Christian Amoroso era un centrocampista difensivo abile anche ad inserirsi, Rui Costa un centrocampista offensivo che sapeva partire anche dal vertice alto della difesa e avviare l’azione da dietro), ma lo staff tecnico della società (Luciano Chiarugi, Giovanni Galli, Paolo Bertelli, Alessandro Ciullini e Pietro Battara) unanime mi suggeriva di dargli grande fiducia perché in grado di diventare il perno della squadra per lungo tempo. Peccato che aveva degli alti e bassi durante uno stesso incontro e non riuscisse quasi mai a concluderne uno perché troppo propenso ad infortunarsi.  

Alla fine le migliori partite (le poche partiite buone) avevano visti come centrocampisti centrali Cois e Di Livio, che, ormai 35nne cercavo di preservare al meglio per l’intera stagione evitandogli il ruolo di esterno (destro o sinistro era indifferente).
Ma Cois, infortunatosi a metà novembre, era ormai fuori uso (per almeno sei mesi) e a centrocampo, accanto a Di Livio, o ad Amoroso, schieravo ora Baronio, sistematicamente uno dei migliori se lanciato nella mischia a partita in corso e uno dei peggiori quando schierato fin dal primo minuto, ora Mirko Benin, in CM 0102 “granitico” ma molto falloso, o Fabio Rossitto, forse il migliore tra le seconde linee e, con qualche partita in più nelle gambe, il candidato principale a sostituire proprio Sandro Cois.
Quelle stesse partite avevano visto Gonzalez e Rossi (o Torricelli) correre sulle due fasce, Vanoli (di nuovo in nazionale dopo un’astinenza durata quasi due anni) difensore sinistro e Tarozzi, spesso, quello destro (lo avevo preferito in più di un'occasione a Torricelli perchè più marcatore), Adani e Pierini difensori centrali e avanti Chiesa e Nuno Gomes, che non vedevano la porta, ma erano insostituibili.

La mia panchina traballava, il numero di calciatori in rosa (49) mi avrebbe consentito al massimo un acquisto o un prestito, il centrocampo andava costruito ad ogni partita o gara in corso (il caso più frequente), durante la quale occorreva sempre rincorrere gli avversari (e non più per le papere di Taglialatela), e, come detto, il duo Chiesa-Nuno Gomes non la metteva dentro.  
Per  la penuria di goal a volte avevo provato anche a dare uno scossone all’ambiente buttando nella mischia Leandro (in campionato e in coppa Uefa), Georgios Vakouftsis (in coppa Italia), Ganz e Robbiati (soprattutto nelle partite che contavano), ma al di là di qualche ottimo secondo tempo, e soprattutto di un paio di gol su calcio di punizione a testa, di questi ultimi due e di un goal ciascuno del promettente brasiliano e dell’incognita greca, nessuno aveva dato l’impressione di “fare reparto”. Certo, Ganz e Morfeo erano in grado di sostituire Chiesa garantendomi anche delle varianti di gioco che mettevano in serie difficoltà gli avversari, ma il peso dei due titolari era decisamente superiore.

Bisognava puntare su coloro che lottavano sul serio per tenere la squadra a galla. A costo di deteriorare ulteriormente l’ambiente, dovevo dare una sfoltita alla rosa e integrarla con qualche nuovo arrivo in grado di permettermi di dare ossigeno a Vanoli (grandissimo in veste di terzino fluidificante), Torricelli, Di Livio e, a turno, Rossi (molto più che un talento) e Gonzalez.  
Sempre che per produrre uno scossone non si optasse per il mio esonero, eventualità tutt’altro che remota.

Intanto decidevo di cambiare da zona ad uomo il tipo di marcatura per i due centrali della difesa: sia Adani che Pierini sembravano prediligere quella a zona, così come Repka e Moretti, ma per favorire le ripartenze dal centro (magari con un semplice anticipo) e calmierare la prevedibilità dell’attacco sulle fasce lo reputavo necessario.
Come valida alternativa a Vanoli avevo adocchiato Mirko Pieri dell’Udinese, da poco rilevato dal Perugia dal team friulano, Vratislav Greško, protagonista di prestazioni altalenanti all’Inter, Fabio Grosso, che al Perugia si alternava nei ruoli di terzino e esterno sinistro di centrocampo, e Fabio Macellari, molto duttile come Vanoli e Grosso e poche volte schierato dal Bologna nella formazione titolare.
Per il centrocampo avevo chiesto ai miei osservatori di visionare Riccardo Allegretti del Como, il poco più che ventenne Pius Ikedia dell’Ajax, Manuele Blasi del Perugia, forse quello che mi convinceva più di tutti, e Martino Melis del Verona.
Per l’attacco avevo deciso di recuperare Ganz e Morfeo, da impiegare immediatamente nelle due amichevoli post natalizie che avevo organizzato per provare qualche variante in campo e fare un po’ di grana. (continua)


sabato 16 aprile 2016

CM 01/02: 2001/02, ed ecco farsi vedere il baratro



Avevo perso il fuoriclasse della squadra e il passaggio stentato del primo turno di coppa Italia (1-1 in trasferta e 0-0 in casa contro la Pistoiese) non aveva certamente iniettato una dose di buon umore nell’ambiente.
Non andava meglio in campionato, dove, nonostante le ottime prestazioni di Manninger, ormai titolare, Di Livio, Torricelli, Vanoli, Adani, Pierini e Cois, dopo un mese e 4 partite la Fiorentina aveva racimolato 5 punti, frutto di una vittoria, due pareggi ed una sconfitta.
Unica nota positiva, la netta vittoria in trasferta sul campo dell’AaB, avversaria nel primo turno di coppa Uefa. Prima ed unica partita, fino ad allora, in cui la squadra non era andata sotto nella prima mezz’ora di gioco.

La cessione di Mijatovic e le caratteristiche proprie di giocatori come Torricelli e Vanoli, ma anche di Di Livio, Morfeo e Gonzalez, ad esempio, mi spingevano a riflettere anche su un cambio tattico, su un assetto “più operaio” con una mezza punta, un modulo del tipo 5-3-2 o 3-5-2 offensivo. Ma temevo per la tenuta degli esterni e la non facile sostituibilità degli stessi con altri in squadra dotati di caratteristiche fisiche e tecniche spesso totalmente opposte. Pensavo, ad esempio, all’improbabile alternanza tra Vanoli e Gonzalez in veste di fluidificante esterno sinistro o a quella decisamente “forzata” tra lo stesso Gonzalez e Morfeo nel ruolo di trequartista centrale alle spalle delle due punte, oppure, ancora, a quella ugualmente “drastica” tra Torricelli e Marco Rossi lungo l’intera fascia destra, con il secondo ancora troppo attaccante in quel periodo (il vero Marco Rossi, che con Nuno Gomes nel gennaio 2002 mise di fatto in mora la società della Fiorentina per il mancato pagamento di emolumenti pattuiti, da bandiera del Genoa invece diventerà uno straordinario interprete del ruolo di difensore/centrocampista esterno).
Continuando con il mio 4-4-2 offensivo non avrei dovuto però rinunciare alla fantasia sulle due fasce, perchè avrei potuto far giocare sia Gonzalez, a sinistra, sia Rossi, a destra, e avrei potuto pretendere di più dalla seconda punta, soprattutto ora che Morfeo era in ripresa e mi permetteva un’alternativa, tecnica e tattica, a Chiesa senza stravolgere l’assetto in campo.
Il giusto equilibrio, almeno sulla carta, tra copertura, fantasia e capacità di spingere e ripiegare a seconda delle fasi di gioco sembrava più semplice da ottenere con il modulo che avevo impostato fin dal primo giorno a Firenze. Dovevo continuare su questa strada e trovare lo “scossone” nelle sostituzioni e nei cambi di gioco in corso finché non venisse fuori un’identità della squadra attorno a coloro che stavano dando il meglio in campo. Almeno mi prefiggevo tanto, poi a riuscirci, tralasciando le news che parlavano (male) di me sulle varie testate giornalistiche locali, le pressioni sulla squadra legate alle manifestazioni di delusione per lo scarso rendimento da parte di grandi ex del passato, i comunicati più che vulcanici del presidente e il malcontento di alcuni tesserati (anche questo accade in Championship Manager), chissà.

A dicembre si prospettava un vero banco di prova per tutti (me compreso, ovviamente). In Europa le cose erano andate fin troppo bene. Ci avvicinavamo alla fase di riposo della coppa Uefa senza sconfitte e Chiesa capocannoniere della competizione, Manninger miglior portiere e Di Livio uno dei migliori del torneo in assoluto (complici 4 assist e una media di 1,6 contrasti decisivi a partita).
In campionato eravamo fuori dai primi 10 e in coppa Italia avevamo superato il Chievo ancora una volta grazie ad un doppio pareggio e la regola dei gol fatti fuori casa. C’era ora la Juventus in casa per il turno di campionato e la Roma fuori per quello di coppa Italia. Dall’8 al 10 dicembre, 3 giorni, ci giocavamo davvero tanto, soprattutto in chiave di “condizioni climatiche”.

Con la Juventus, l’eterna “nemica”, forse per la prima volta dall’inizio del campionato, la squadra era andata in vantaggio con Chiesa, deludente fino a quel momento il suo rendimento nella massima serie (come stava accadendo allora anche nella realtà), e sembrava dominare la partita, ma al 90’ i binaconeri pareggiavano e al 94’, in pieno recupero, passavano in vantaggio vincendo la gara per 2 a 1.
Prevedibili (ed infuocate) le reazioni del patron Cecchi Gori, fattosi sentire anche atraverso i media appena dopo il triplice fischio dell’arbitro (contro il quale avrei fatto un esposto alla federazione il giorno seguente). Un po' meno quelle dei tifosi, che mi aspettavano fuori dagli spogliatoi per contestare me e la squadra (notizia segnalatami dagli assistenti).

Non migliorò la situazione l’1 a 1 in casa della Roma nel turno infrasettimanale di coppa Italia, né la vittoria nel finale di partita a Genoa contro i “Grifoni”.
Il mio nome era ormai tra gli allenatori a ‘rischio’ e dopo la sonora sconfitta a Milano contro l’Inter e in casa contro il Bologna la mia panchina risultava ormai ‘traballante’. A scommettere sul nome del mio sostituto non erano più soltanto le testate e i big che attaccavano la squadra e la società già dalla semi-fallimentare stagione precedente. (continua)

lunedì 11 aprile 2016

CM 01/02: 2001/02, prove tecniche di un’odissea



Avevo alleggerito gli allenamenti e la squadra sembrava in gran forma. Già tutti, o quasi, “carichi” per affrontare almento 50/60 minuti di calcio giocato.
Nella prima amichevole, contro il Piacenza in trasferta, prestazione straordinaria di Mijatovic e Di Livio, subentrato ad Amoroso dal 1° minuto della ripresa, pessima quella di Taglialatela, oscurata ancor più dall’ottimo secondo tempo di Manninger, sopra la media tutta la difesa, nonostante fossimo andati sotto 2-0 nei primi 10’ iniziali. Anonimi Chiesa e Nuno Gomes e più che “pimpanti” Leandro e Vakouftsis, in campo al loro posto dall’80’.
Un 3 a 2 finale frutto, in estrema sintesi, di due papere di Taglialatela e una tripletta di Mijatovic

Tre giorni dopo il Siena al Franchi, stessa impostazione e Di Livio al posto di Mijatovic e Pierini in quello di Repka.
Ancora un pessimo Taglialatela nel primo tempo ed un ottimo Manninger nel secondo. Di Livio nella ripresa l’avevo spostato nella posizione di Cois, infortunatosi, e Marco Rossi era entrato per coprire la fascia destra. Baronio era subenrato ad Amoroso, a rischio infortunio, e segnato su punizione, mentre Ezequile Gonzalez s’era fatto espellere già al 39’, con Vanoli che aveva dovuto quindi coprire l’intero lato sinistro del campo, finché stremato aveva ceduto il posto al 70’ il posto ad Agostini. Tarozzi e Ficagna aveva sostituito, ben figurando, Adani e Pierini.
2 a 1 finale con nuova papera di Taglialatela e gol di Di Livio con una fuga in contropiede mentre rischiavamo il 2-0 e, come anticipato, Baronio su calcio piazzato (una sua specialità nella sua scheda targata CM 01/02).

Altri due giorni ed ecco la sfida amichevole con il Real Madrid.
Ancora Taglialatela titolare (cercavo di farlo giocare con insistenza perché era evidente che lo stato di forma risentisse della tanta inattività del talentuoso portiere patita al Napoli), Vanoli, stanco ma schierato comunque in campo, Torricelli, Adani, Repka (pienamente recuperato) centrali di difesa, Mijatovic centrocampista destro, Ezequiel Gonzalez, che già manifestava un forte desiderio di andare via attravreso dichiarazioni del tipo ‘crede di avere fatto un grosso sbaglio ad essersi trasferito in Italia’ alternate ad altre come ‘preoccupato dallo stato finanziario della società’, a sinistra, Cois e Di Livio centrocampisti centrali, Chiesa e Nuno Gomes in attacco.
In panchina Manninger, Pierini, Moretti, Agostini, Marco Rossi, Baronio, Maurizio Ganz (trovato in squadra decisamente fuori forma e finalmente recuperato), Leandro e Rossitto.
Avevo portato in Spagna, almeno credevo in quel momento, i 22 con cui contavamo di ritornare in alto in campionato dopo il deludente 9° posto dell’anno precedente e ben figurare in coppa Uefa (e in coppa Italia). Aria da fallimento permmettendo.
Il Real andava subito in vantaggio e la partita sembrava dovesse concludersi in una debacle, tanto eravamo aggredibili e “molli”.
L’ingresso, e le ottime performance, di Manninger per Taglialatela e quello di Baronio per Cois, con le grandi prestazioni di Di Livio, un gol dopo una lunga fuga e doppio scambio con Chiesa, e Mijatovic, doppietta per l’ex madrinista, singevano invece la squadra alla vittoria finale di 3 a 2.

Anche le successive amichevoli confermavano un Di Livio già in forma smagliante e straordinariamente versatile (forse addirittura più di quello vero) e Mijatovic il fuoriclasse che avevamo potuto ammirare molto prima che arrivasse in Italia, ma anche le frequenti “amnesie” di Taglialatela e le troppe “distrazioni” sotto porta di Nuno Gomes e Chiesa, fino a quel momento entrambi brutta copia di sé stessi, soprattutto in fatto di vena realizzativa.

Non potevo ignorare quanto fosse "amaro" inseguire sempre l’avversario e, pur tifoso di Pino, quello vero, provavo a riscattare Manninger, in prestito dall’Arsenal.
I “Gunners” non sembravano intenzionati a cedere il portierone e nel frattempo Mijatovic era finito nel mirino di diversi big impegnati in Champions.
I fondi per i traferimenti, complice un monte ingaggi e un numero di tesserati più che elevato, stavano però riducendosi e decidevo di accelerare per Manninger.
Dopo un tira e molla protrattosi per oltre due settimane, riuscivamo a riscattarlo per 3,7 milioni di euro (avevo impostato la valuta unica come divisa di riferimento ma non eravamo ancora entrati nel regime monetario attuale).
Durante le negoziazioni per il numero uno austriaco avevo anche ricevuto un’offerta da 15 milioni per Mijatovic e avevo immediatamente rilanciato a 19,5: mi riscoprivo propenso a cedere il fuoriclasse della squadra senza nemmeno pensarci su più di tanto.
Poco prima dell’inizio del campionato l’ex Real Madrid passava al Wolsburg per un affare totale, comprensivo di bonus presenze, da 22,5 milioni.
Una cessione che portava ossigeno alle casse della società, ma che contribuiva a rendere ancora più caldo l’ambiente, lasciandosi interpretare come segnale di ridimensionamento delle ambizioni del club (e del mister). (continua)

mercoledì 6 aprile 2016

CM 01/02: campionato 2001/02, come ti stravolgo la storia dei viola



Avevo una “signora” squadra, ma le condizioni per lavorare non erano proprio le migliori. Lontano dal grosso giro avevo già affrontato situazioni simili, o addirittura peggiori: in più di un’esperienza nelle serie minori, con CM 99/00, mi era stato anche chiesto di prestare maggiore attenziona alle finanze (cedere giocatori, in parole povere) e, mentre cercavo di farlo senza perdere di vista i risultati, la società portava i libri in tribunale e subentrava poi una cordata di nuovi soci a guidarla.
Ora però ero alla guida di una delle “sette sorelle”, nella delusissima Firenze, che aveva visto la sua squadra passare dall’ebbrezza della qualificazione in Champions League di due anni prima alla delusione per il nono posto in classifica nel campionato da poco conclusosi, in parte mitigata dalla vittoria della Coppa Italia (che in CM 01/02 vuol dire anche qualificazione diretta in Coppa Uefa).

In ogni partita di Championship Manager, pur dovendomi inizialmente “arrangiare” con il materiale che trovavo nella rosa (e l’umore che regnava dentro la squadra e, spesso, la società), avevo sempre perseguito l’obiettivo di mettere su una squadra schierata secondo un 4-4-2 offensivo, tutti impegnati a marcare a zona, ad eccezione, spesso, dei due difensori centrali, ai quali chiedevo invece di marcare a uomo i due attaccanti avversari, con la seconda punta che doveva continuamente avvicinarsi alla linea mediana del campo per dare una mano ai colleghi e proporsi per l’attacco e i due centrocampisti esterni incaricati di spingere sulle rispettive fasce.
Anche quando non disponevo di fondi per la campagna acquisti, mentre cercavo di preparare la squadra da mettere in campo e trovare giovani promesse da inserire nell’organico, pur di riuscirci non esitavo a passare ore a cercare di ingaggiare a parametro zero calciatori svincolati o svincolabili (è un'attività estenuante, ma che "prende").

Grazie ad una di queste interminabili trattative ero riuscito a portare Cesar Sampaio alla Nocerina in veste di giocatore/preparatore atletico, con un ingaggio da 110mila euro all’anno per due stagioni.
Era la mia decima o oltre avventura con CM 99/00 e avevo da poco preso in mano la squadra. I centrocampisti centrali erano i primi calciatori che osservavo in squadra e sul mercato e, trovatolo libero nella ricerca giocatore, ero partito a testa bassa a contattarlo.
Sorprendedomi, l’ex Deportivo mi aveva chiesto 350mila euro a stagione per due anni: una cifra molto lontana dal tetto agli ingaggi che la società aveva fissato e, comunque, fuori dalle nostre possibilità. Di contro ero arrivato al massimo che potevo, mettendo sul piatto 120mila euro a stagione per due anni, 10mila euro per assist ed altrettanti per ogni rete segnata.
Il rifuto era stato netto (e prevedibile), ma ciò che davvero mi aveva sorpreso non era l’ingaggio richiesto, ma il fatto di voler negoziare un contratto. Eravamo in serie C e l’obiettivo era evitare di farci coinvolgere nei play-out: in questa posizione da un campione, anche se in calo fisico e di rendimento, mi ero beccato sempre ed esclusivamente un rifiuto. Magari con motivazioni del tipo 'preoccupato per il diverso stile di vita e la lingua' o 'non vuole trasferirsi in Italia', senza alludere quindi al “rango” della squadra, ma comunque un risolutivo diniego.
Cesar Sampaio invece aveva lasciato una porticina aperta, cosicchè tornavo ripetutamente alla carica e dopo un tira e molla iniziato ai primi di luglio e terminato alla prima di campionato, intervallato dall’inserimento di altri club nella trattativa, ero riuscito ad ingaggiarlo (e a conquistarmi subito la tifoseria).
Tre anni dopo la Nocerina, con Cesar Sampaio al mio fianco in veste di allenatore in seconda, “rischiava” di salire in serie A.
Pilastro di quella squadra era Claudio Husain, che svincolatosi dal Napoli a parametro zero (anziché tornarsene in Argentina come avvenuto nella realtà), aveva sostituito in cabina di regia proprio la colonna del centrocampo della nazionale carioca della seconda metà degli anni ‘90. La (mia) Nocerina in serie A ci arrivò l’anno successivo, ma questa è un’altra storia.


L’organico della Fioentina mi permetteva di “ragionare” immediatamente secondo il “mio” 4-4-2 offensivo. Qualche dubbio l’avevo sul tipo di marcatura da chiedere ai due difensori centrali, se a zona o a uomo sui due attaccanti avversari.
Lo staff tecnico era invece orientato nel preferire il 3-5-2, alcuni, o il 5-3-2, i più, entrambi in versione offensiva: il centrale che indietreggia rispetto ai colleghi di reparto durante le fasi difensive (non proprio il libero alla Lazzaroni, ma quasi) sembrava fosse un “verbo” nell’ambiente viola. Mi viene da associarci,  a pensarci su, l’esonero di Radice, l’allenatore che aveva lanciato la Fiorentina tra le grandi, per non aver schierato il libero durante una partita in casa persa contro l’Atalanta. E quell’anno la squadra dove militavano, tra i tanti, Batistuta, Effemberg, Baiano e Laudrup, affidata poi a Trapattoni, da sesta in classifica era riuscita a retrocedere in B (era il 1993).

Decisi di partire con il “mio” 4-4-2 offensivo e di organizzare 6 amichevoli da concludere entro 2/3 giorni dalla prima di coppa Italia. In calendario se ne aggiunse una settima, al Bernabeu su invito del Real Madrid. Una delle prime cose che si apprende giocando con CM è il grosso rischio di presenarsi ai primi incontri con i calciatori ancora fuori forma o addirittura inutilizzabili.
Cosa che ho provato alla mia prima partita in assoluto e che mi ha fatto capire quanto fosse indispensabile alleggerire la preparazione fisica già ai primi di agosto e, subito dopo, far giocare qualche amichevole alla squadra durante la seconda metà del mese. Un periodo, quest'ultimo, in cui le amichevoli spesso si affiancavano al primo turno di coppa Italia (andata e ritorno in CM 01/02) o all’intero girone di qualificazione di coppa di categoria (spesso partivo con un club di serie C). Un carico di incontri iniziali, in una fase durante la quale è importante dedicarsi anche agli aspetti tecnici e tattici della squadra, che costringe l’utente a prendere davvero sul serio Championship Manager e ciò che sta facendo.
Evitata una carrellata di infortuni perchè si è andati a modificare le impostazioni dell’allenamento fin dal primo giorno di “lavoro”, in altre parole, ci si trova subito a giocare un po’ di partite con cui provare la squadra e, soprattutto, ben figurare e raggiungere già qualche obiettivo. Superata questa fase iniziale della prima partita di CM, nella quale siete stati “traumaticamente” proiettati in tematiche legate alla preparazione fisica, prima, all’organizzazione del calendario e della squadra secondo quest’ultimo, poi, e al modo di presentarsi con i calciatori, la tifoseria e l’ambiente tutto con il gioco e i primi risultati (tutto in due settimane e poco più), siete diventati dipendenti. Ebbene sì, quel videogame manageriale dalla grafica così poco accattivante che magari stavate testando come alternativa, ad esempio, a PC Calcio, è diventato il vostro incubo e la gestione della squadra e delle situazioni che voi stessi contribuite a creare la vostra missione. Se, viceversa, la raffica di infortuni che vi ha paerseguitato in questa fase iniziale della partita, le brutte figure in campo, la difficoltà di districarsi tra le tante attività che vi siete accollati accettando di gestire la squadra e di valutare giocatori e staff secondo numeri, schede e voti tecnici, oltre che l’eccessiva interattività del gioco, vi hanno spinto a uscire dalla prima partira e a disinstallare il programma, difficile biasimarvi: vi siete salvati.

Tornando alla squadra da mandare in campo nelle prime uscite (Piacenza e Siena), decisi di partire con Taglialatela in porta, Torricelli a destra, Vanoli a sinistra, Adani e Repka centrali di difesa, tutti in linea e con il compito di marcare a zona gli avversari, Mijatovic centrocampista destro con licenza di attaccare (sulla fascia e al centro), Ezequiel Gonzalez al lato opposto e con le stesse disposizioni, Cois e Amoroso sull’asse mediano del centrocampo, Chiesa e Nuno Gomes avanti, con il primo incaricato di indietreggiare a centrocampo (e al posto di Mijatovic se questo rimaneva in attacco) e porporsi per l’affondo o per dare una mano a difendere e il secondo di fare reparto da solo durante gli spostamenti del collega.
Per Mijatovic, Torricelli e Vanoli si trattava di giocare molto più dietro di quanto fossero ormai abituati. Per i due fluidificanti (ex secondo le scelte che stavo compiendo), a dettare la mia scelta erano state l’intelligenza tattica di entrambi, che li rendeva dei punti di riferimento e che mi permetteva di “ragionare” fin da subito secondo un modulo e di impostare anche il turn-over a cui sarei dovuto ricorrere giocando partite molto ravvicinate tra di esse come quelle che stavamo per affrontare, oltre l’idea di preservarne la condizione fisica il più a lungo possibile, vista l’età e immaginati i chilometri già percorsi nella loro lunga carriera. Mijatovic non l’avevo mai considerato (nel calcio vero) un grandissimo goleador, o, in quest’ottica, comunque potenzialmente meno di Enrico Chiesa, ma un attaccante capacissimo di colpi di grande classe, all’occorrenza rifinitore eccezionale come le migliori mezze punte di tradizione jugoslava e propenso anche a incisive groppate sulle fasce: ero convinto che avrebbe dato tantissimo partendo dal lato destro della mediana di centrocampo per allungare sul fondo o accentrarsi verso l’area di rigore avversaria e fare male, o direttamente o mettendo in condizione di segnare qualche compagno di squadra. Confidavo proprio nella classe e nella tenacia dello slavo per fare punti già dall’inizio del campionato in modo da spostare la concentrazione di tutti sulla squadra e il calcio giocato. Poi, magari dopo gennaio, avrei cercato di conservarne l’integrità fisica e le grandi doti di attaccante alternandolo con Chiesa nel ruolo di seconda punta e impiegare di più Marco Rossi sulla fascia destra (o, nel caso questo giovane dalle grandi potenzialità non fosse esploso, alternare in quella posizione Torricelli e Di Livio).
Per la panchina avevo scelto Di Livio, che nella ripresa avrei impiegato o al centro o su una dei due lati del centrocampo, Baronio (potenziale sostituto di Christian Amoroso), Tarozzi (che sarebbe subentrato a Torricelli o ad uno dei due difensori centrali), Alessandro Agostini (che avrebbe consentito a Vanoli o Torricelli di uscire durante il secondo tempo), Pierini e Emiliano Moretti (sostituti in corso di Repka, Adani o, per il solo Moretti, Vanoli) e tanti giovani. Avevo lasciato fuori altri potenziali membri della prima squadra per tenerli ancora sotto allenamento e impiegarli dalla terza amichevole in calendario.

A proposito dell’allenamento, appena presa in mano la squadra, ero solito (con CM 99/00) personalizzare le sezioni Portiere, Tattica e Tiro nel seguente modo:
- nella prima, rispetto alle impostazioni di default, spostavo da minimo a medio gli allenamenti fisici, aggiungevo esercizi di tiro e intensificavo quelli finalizzati ad aumentare l’abilità tecnica (la voce specifica ‘portiere’ era già al massimo);
- nella seconda, impostavo al massimo l’allenamento tattico e lasciavo ai valori medi quello fisico, che però intensificavo durante la preparazione estiva e nelle pause del campionato e, viceversa, cercavo di allentare quando la squadra era impegnata su più fronti in un ristretto lasso di tempo, e quello di tipo tecnico (anche se quando non avevo partite infrasettimanali optavo anche per questo per il massimo);
- nella terza portavo al massimo, ovviamente, le sessioni di tiro e lasciavo al valore medio le altre tipologie (intensificndo tuttavia quella fisica quando c’erano pause di campionato e in piena preparazione estiva).
Alla prima sezione assegnavo i portieri, alla seconda difensori e centrocampisti (che, di fatto, "ammazzavo" d'allenamento più di tutti) e alla terza le punte (e qualche volta i centrocampisti offensivi).
Regolando in modo diverso gli allenamenti fisici, tattici, di tiro e tecnici, inoltre, spesso creavo delle sezioni specifiche per i giovani della squadra (tanto allenamento tecnico e tattico e leggero quello fisico per i giovanissimi, ad esempio) o per i senior (poca tattica e fatica), che ribattezzavo con i nomi più strambi.
In questa fase iniziale di calcio giocato, come anticipato, avevo invece ridotto al minimo quasi tutti i tipi di allenamento/esercizi utilizzando uno schema come la seguente videata che ho trovato online. A regime avrei ridistribuito il lavoro secondo le "mie" impostazioni suesposte.


(una videata degli allenamenti)


Per quanto riguarda le istruzioni alla squadra, ero orientato fin dalla prima partita con Championship Manager come in questa videata che ho trovato sul web (non dovrebbe sorprendere che qualche mio centrale di difesa o di centrocampo figurasse tra i più "cattivi" del campionato):


(videata degli ordini alla squadra)