sabato 16 aprile 2016

CM 01/02: 2001/02, ed ecco farsi vedere il baratro



Avevo perso il fuoriclasse della squadra e il passaggio stentato del primo turno di coppa Italia (1-1 in trasferta e 0-0 in casa contro la Pistoiese) non aveva certamente iniettato una dose di buon umore nell’ambiente.
Non andava meglio in campionato, dove, nonostante le ottime prestazioni di Manninger, ormai titolare, Di Livio, Torricelli, Vanoli, Adani, Pierini e Cois, dopo un mese e 4 partite la Fiorentina aveva racimolato 5 punti, frutto di una vittoria, due pareggi ed una sconfitta.
Unica nota positiva, la netta vittoria in trasferta sul campo dell’AaB, avversaria nel primo turno di coppa Uefa. Prima ed unica partita, fino ad allora, in cui la squadra non era andata sotto nella prima mezz’ora di gioco.

La cessione di Mijatovic e le caratteristiche proprie di giocatori come Torricelli e Vanoli, ma anche di Di Livio, Morfeo e Gonzalez, ad esempio, mi spingevano a riflettere anche su un cambio tattico, su un assetto “più operaio” con una mezza punta, un modulo del tipo 5-3-2 o 3-5-2 offensivo. Ma temevo per la tenuta degli esterni e la non facile sostituibilità degli stessi con altri in squadra dotati di caratteristiche fisiche e tecniche spesso totalmente opposte. Pensavo, ad esempio, all’improbabile alternanza tra Vanoli e Gonzalez in veste di fluidificante esterno sinistro o a quella decisamente “forzata” tra lo stesso Gonzalez e Morfeo nel ruolo di trequartista centrale alle spalle delle due punte, oppure, ancora, a quella ugualmente “drastica” tra Torricelli e Marco Rossi lungo l’intera fascia destra, con il secondo ancora troppo attaccante in quel periodo (il vero Marco Rossi, che con Nuno Gomes nel gennaio 2002 mise di fatto in mora la società della Fiorentina per il mancato pagamento di emolumenti pattuiti, da bandiera del Genoa invece diventerà uno straordinario interprete del ruolo di difensore/centrocampista esterno).
Continuando con il mio 4-4-2 offensivo non avrei dovuto però rinunciare alla fantasia sulle due fasce, perchè avrei potuto far giocare sia Gonzalez, a sinistra, sia Rossi, a destra, e avrei potuto pretendere di più dalla seconda punta, soprattutto ora che Morfeo era in ripresa e mi permetteva un’alternativa, tecnica e tattica, a Chiesa senza stravolgere l’assetto in campo.
Il giusto equilibrio, almeno sulla carta, tra copertura, fantasia e capacità di spingere e ripiegare a seconda delle fasi di gioco sembrava più semplice da ottenere con il modulo che avevo impostato fin dal primo giorno a Firenze. Dovevo continuare su questa strada e trovare lo “scossone” nelle sostituzioni e nei cambi di gioco in corso finché non venisse fuori un’identità della squadra attorno a coloro che stavano dando il meglio in campo. Almeno mi prefiggevo tanto, poi a riuscirci, tralasciando le news che parlavano (male) di me sulle varie testate giornalistiche locali, le pressioni sulla squadra legate alle manifestazioni di delusione per lo scarso rendimento da parte di grandi ex del passato, i comunicati più che vulcanici del presidente e il malcontento di alcuni tesserati (anche questo accade in Championship Manager), chissà.

A dicembre si prospettava un vero banco di prova per tutti (me compreso, ovviamente). In Europa le cose erano andate fin troppo bene. Ci avvicinavamo alla fase di riposo della coppa Uefa senza sconfitte e Chiesa capocannoniere della competizione, Manninger miglior portiere e Di Livio uno dei migliori del torneo in assoluto (complici 4 assist e una media di 1,6 contrasti decisivi a partita).
In campionato eravamo fuori dai primi 10 e in coppa Italia avevamo superato il Chievo ancora una volta grazie ad un doppio pareggio e la regola dei gol fatti fuori casa. C’era ora la Juventus in casa per il turno di campionato e la Roma fuori per quello di coppa Italia. Dall’8 al 10 dicembre, 3 giorni, ci giocavamo davvero tanto, soprattutto in chiave di “condizioni climatiche”.

Con la Juventus, l’eterna “nemica”, forse per la prima volta dall’inizio del campionato, la squadra era andata in vantaggio con Chiesa, deludente fino a quel momento il suo rendimento nella massima serie (come stava accadendo allora anche nella realtà), e sembrava dominare la partita, ma al 90’ i binaconeri pareggiavano e al 94’, in pieno recupero, passavano in vantaggio vincendo la gara per 2 a 1.
Prevedibili (ed infuocate) le reazioni del patron Cecchi Gori, fattosi sentire anche atraverso i media appena dopo il triplice fischio dell’arbitro (contro il quale avrei fatto un esposto alla federazione il giorno seguente). Un po' meno quelle dei tifosi, che mi aspettavano fuori dagli spogliatoi per contestare me e la squadra (notizia segnalatami dagli assistenti).

Non migliorò la situazione l’1 a 1 in casa della Roma nel turno infrasettimanale di coppa Italia, né la vittoria nel finale di partita a Genoa contro i “Grifoni”.
Il mio nome era ormai tra gli allenatori a ‘rischio’ e dopo la sonora sconfitta a Milano contro l’Inter e in casa contro il Bologna la mia panchina risultava ormai ‘traballante’. A scommettere sul nome del mio sostituto non erano più soltanto le testate e i big che attaccavano la squadra e la società già dalla semi-fallimentare stagione precedente. (continua)

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