domenica 24 febbraio 2019

Cosa guardano gli operatori: gli indici di fiducia europei

Il mercato dei cambi è condizionato principalmente dai dati provenienti dagli Stati Uniti d’America.
Il dollaro Usa, in effetti, rappresenta anche la prima moneta al centro di una vera e propria area valutaria su scala mondiale, conseguenza delle alleanze commerciali e delle politiche monetarie che il Paese a stelle e strisce ha portato avanti con i Paesi confinanti e, soprattutto, con le nazioni trainate fuori dalle macerie della seconda Guerra mondiale e i maggiori produttori di materie prime.
Il biglietto verde è infatti ancora oggi la divisa ufficiale per le quotazioni su scala globale delle principali materie prime ed energetiche, nonché lo strumento di pagamento (di riferimento) delle stesse.


Per quanto riguarda l’Eurozona, sono soprattutto alcuni indicatori del clima di fiducia (“indici qualitativi”) pubblicati periodicamente dall’Eurostat ad attirare l’attenzione degli operatori sul Forex.
Tra di essi ricordiamo l’indice di fiducia relativo ai consumatori (Consumer Confidence Indicator), l’indice di fiducia relativo alle imprese (Industrial Confidence Indicator) e l’indice sintetico sulla fiducia economica (Economic Sentiment Indicator). 


Ma grosso rilievo, pesando l’economia della Germania per circa 2/3 su quella dell’intero continente europeo, è attribuito anche agli indici di fiducia delle imprese tedesche ed in particolare allo ZEW e all’IFO.

sabato 16 febbraio 2019

Cosa guardano gli operatori: i market mover USA (parte 2)

Altre importanti variabili osservate per operare sul dollaro e, in generale, sul mercato dei cambi sono:
PMI manifatturiero (o ISM manifatturiero). Il PMI (Purchasing Managers’ Index) manifatturiero indica l’andamento del settore manifatturiero, sia in termini correnti, sia come stima per i mesi a seguire. È rilasciato mensilmente, il primo giorno lavorativo sui dati del mese precedente, dall’Institute for Supply Management (ISM).
Esso è composto dalla media ponderata di cinque sottoindici, nuovi ordini (30%), produzione (25%), occupazione (20%), consegne dei fornitori (15%) e scorte (10%), sulla base di un’indagine riguardo a diversi aspetti dell’andamento aziendale sottoposta a circa 400 direttori agli acquisti. Il valore degli indici al di sopra della soglia di 50 indica ripresa, al di sotto, viceversa, peggioramento della congiuntura economica.

PMI non manifatturiero (o ISM non manifatturiero). Identificato anche come Non Manifacturing Index (NMI), indica l’andamento corrente dei comparti non manifatturieri e la loro potenziale evoluzione per i mesi successivi. È pubblicato su base mensile nei primi giorni lavorativi successivi alla chiusura del mese di riferimento e con il PMI manifatturiero riesce a comprendere il 90% circa delle aziende che sono in grado di determinare il Pil statunitense.
Questo indice dei servizi, introdotto soltanto nel 1997 e dunque meno autorevole del PMI manifatturiero, si basa su un’indagine svolta tra circa 370 direttori d'acquisto scelti tra 62 settori non industriali (servizi bancari e assicurazioni, settore agricolo, vendita al dettaglio, comunicazioni etc) ed evidenzia un’espansione dell’economia se al di sopra di 50 punti ed una contrazione quando è sotto tale soglia.

Fiducia dei consumatori (UoM). È il Consumer Sentiment Index, l’indice che misura la fiducia dei consumatori, calcolato ogni mese, da oltre mezzo secolo, dall’Università di Michigan su un campione della popolazione di 500 persone, il 60% delle quali viene rinnovato ad ogni nuova indagine.
Il grado di fiducia dei consumatori è rilevato sia sulla situazione corrente, sia sul futuro, fornendo fin da subito una fotografia delle tendenze di consumo a lungo termine.
Il dato preliminare (il 60% dei risultati totali) viene rilasciata il secondo venerdì di ogni mese, mentre la relazione finale è pubblicata l’ultimo venerdì di ogni mese per quello precedente.
L’autorevolezza di tale indice è la logica conseguenza del sistema economico Usa, dove 2/3 del Pil sono costituiti proprio dai consumi domestici.
La sua forza è quella di sintetizzare componenti razionali e irrazionali (gran parte delle persone intervistate non ha forti basi di economia, né grosse conoscenze in fatto di inflazione e tassi di interesse) e fornire indicazioni fondamentali circa l'andamento del ciclo economico.


sabato 9 febbraio 2019

Cosa guardano gli operatori: i market mover Usa (parte 1)

La forte interdipendenza tra una valuta e l’economia del Paese (o dell’area) di cui è essa è espressione concentra l’attenzione degli investitori sulle variabili macroeconomiche reputate più idonee a fotografarla.
Per il mercato, e per il Forex in particolare, non esiste tuttavia un valore assoluto di un dato e ci sono dati economici sicuramente più importanti di altri ma il cui rilievo in un dato momento dipende anche, e soprattutto, dalla congiuntura del periodo.

La reazione del mercato Forex alla pubblicazione dei dati sull’economia di un Paese, inoltre, non è lineare e scontata come si possa erroneamente credere: un risultato superiore o inferiore alle previsioni, ad esempio, genera certamente una serie di aspettative (positive o negative) e queste possono anche a loro volta trovare largo consenso tra i protagonisti del mercato dei cambi e far sottendere una decisa rivalutazione (o deprezzamento) della divisa interessata; ma non è raro, in concomitanza dell’annuncio ufficiale, osservare andamenti grafici di segno diametralmente opposti a quelli prospettati perché una grossa fetta degli operatori ha già anticipato il rialzo (o il ribasso) delle quotazioni della moneta e sta generando profitti.
La componente speculativa che accompagna i mercati finanziari è infatti molto più marcata sul Forex.

Fatte queste brevi premesse, tra le variabili macroeconomiche più importanti per gli investitori mondiali e gli operatori sul mercato dei cambi si evidenziano i cosiddetti market mover, gli indicatori e le notizie cioè in grado di condizionare l’andamento del mercato valutario.
L’attenzione, in particolare, è soprattutto per i principali market mover Usa, capaci di influenzare il dollaro e, quindi, il mercato dei cambi in generale.