martedì 22 marzo 2016

Messi? Ronaldo? I miti nel calcio sono altri, anche in CM 01/02



Non sono più in grado di dire quante squadre abbia gestito e quante intense avventure vissute con CM 01/02, ma posso affermare con certezza di aver avuto in organico quasi sempre un “mitico”. 
Il mitico nel calcio, e in tanti sport a squadre, quasi mai è il migliore in termini di tecnica e classe, di rado è il goleador o colui che potrà salvare il bilancio della società attraverso il suo trasferimento ad un altro club e di solito non attira le telecamere puntate sul campo di calcio o i media in cerca di un viso da copertina. 
Il mitico è il leader operaio in campo e nello spogliatoio. È uno dei punti di riferimento dell’allenatore e dell’ambiente tutto.
È spesso il componente della squadra il cui impiego fa gridare allo scandalo i puritani dell’estetica e gli integralisti delle spese milionarie ad ogni costo. Colui intorno al quale si costruisce un intero reparto e si fanno crescere i veri talenti, cioè coloro che permetteranno poi alla squadra di raggiungere obiettivi a volte insperati e alla società di generare entrate attraverso la loro, spesso amara, cessione. È il leader a tutti gli effetti, l’allenatore in campo e il saggio fuori, ruoli essenziali ma celati da una modestia e da una parziale indifferenza da parte del mondo del calcio non giocato, che alla distanza diventa difficilissimo rimpiazzare.

Il primo “mitico” che ho visto giocare dal vivo è stato Salvatore Di Somma.
Erano i primissimi anni ’80 dello scorso secolo ed era la mia prima volta allo Stadio Partenio di Avellino.
La squadra irpina era in piena lotta per rimanere in serie A e Di Somma, rilevato dal Pescara nel 1977, era il giocatore simbolo di una compagine operaia arricchita di tanti talenti pescati dalla serie B e da club più blasonati dove non trovavano spazio.
Il campionato italiano era alquanto “povero” e i calciatori giravano da una squadra retrocessa ad una neopromossa che ambiva a salvarsi. C’era la mezzala, il libero, la “zona mista” del Trap e di Gigi Radice, un’evoluzione del catenaccio degli anni ’60 e dei primi ’70 (anche se c’era anche Liedholm che professava un calcio a zona più vicino a quello conosciuto grazie all’Olanda finalista di due mondiali consecutivi), il terzino destro che marcava ad uomo il migliore dell’attacco avversario e il sinistro che provava a spingere sulla fascia per crossare al centro o accentrarsi scambiandosi momentaneamente il ruolo con il trequartista (la “mezzala”). C’era l’ariete e la seconda punta “di movimento” e, da un anno, la massima serie era stata riaperta agli stranieri. 



Lo stabiese Di Somma era già sulla via del tramonto quando vidi giocare per la prima volta dal vivo lui e la squadra del mio capoluogo di provincia. Per quanto la mia attenzione fosse alterata dalle urla e dai fischi dei tifosi indirizzati agli avversari (era in atto un vero e proprio scontro diretto tra pretendenti alla salvezza), questo giocatore marcatamente stempiato, grintoso e vistosamente diverso da molti compagni in fatto di possesso palla e modo di giocare (si limitava a rincorrere gli avversari spalla a spalla e a scaraventare il pallone in tribuna, compresa quella vip nella quale ero approdato in virtù di piccolo ospite di un abbonato amico di famiglia) mi colpì così tanto che alla domanda fattami nell’intervallo circa il calciatore che stava piacendomi di più non esitai a rispondere: «Di Somma».
In una squadra di calciatori del calibro di Beniamino Vignola (il capitano), Geronimo Barbadillo, Søren Skov (che si rileverà poi uno dei più grandi “bidoni” degli anni ’80), Bruno Limido, Luciano Favero, Carlo Osti, Gian Pietro Tagliaferri, Stefano Tacconi e Giovanni Cervone, un ragazzino di appena 8 anni, già abituato all’Almanacco del calcio italiano e alla Gazzetta, aveva apprezzato un “piedi di legno” che rincorreva, a fatica, gli attaccanti avversari con il solo ed unico intento di  impedire che arrivassero in porta.
L’incredulità che aveva alimentato la mia risposta secca la si tagliava con un coltello, ma qualcuno dei “vip” fece notare quanto la grinta e l’agonismo per un ragazzino potessero essere molto più affascinanti di tanti altri fattori, specie se a stringere i denti era l’ultimo baluardo della difesa.


Non ricordo esattamente chi fosse l’avversario (a posteriori potrei dire Genoa), ma benissimo che quella partita finì due a zero a favore dei “lupi” con goal di Vignola e Barbadillo e che a casa non feci altro che parlare di Salvatore Di Somma, un “mito” per la piazza e, quel giorno, anche per me.
L’Avellino quell’anno concluse il campionato (1982/83) al nono posto (record battuto con l’ottavo posto raggiunto nel 1987), arrivando anche agli ottavi di finale di Coppa Italia.
Di Somma chiuderà poi con l’Avellino la sua carriera di calciatore professionista due anni dopo, nel 1984, alla veneranda età di 36 anni, per poi iniziare quella da allenatore pochi anni più tardi, partendo dal Sorrento e passando anche per Avellino nella stagione 1996/97, in serie C1, dopo il ritorno alla presidenza di 'don' Antonio Sibilia, patron della società proprio durante gli anni in cui Salvatore Di Somma militava nella squadra che impose per quasi dieci anni la “legge del Partenio”. (continua)

giovedì 17 marzo 2016

Championship Manager: i precedenti e la nascita di FM

Sport Interactive rilasciò numerosi sequel di Championship Manager prima di separarsi da Eidos Interactive nel 2004 e accordarsi con SEGA per promuovere una nuova evoluzione del manageriale con il marchio Football Manager, il nome del software creato agli inizi degli anni ’80 dallo sviluppatore britannico Kevin Toms e considerato il capostipite del genere.

Il primo Football Manager pubblicato da Toms nel 1982 e lanciato su numerose piattaforme, comprese ZX Spectrum, Commodore 64 e Amstrad CPC, riscontrò un immediato successo, producendo due seguiti numerici e la World Cup Edition, pubblicata in occasione della finale dei mondiali di Italia 90, ma con l’uscita nel 1991 di Football Manager 3 (progetto, deludente, al quale Toms non aveva partecipato) la fama andò declinandosi a favore di Player Manager (di Dino Dini) e, soprattutto, di Championship Manager, lanciato nel 1992 e destinato fin da subito a imporsi come leader del settore.


A seguito del divorzio del 2004 di cui sopra Eidos mantenne il marchio e l’interfaccia utente, mentre Sport Interactive il database e il codice del gioco, mentre per il nome rilanciò il marchio Football Manager creato da Toms nel 1982.
I due prodotti presero tuttavia due distinte strade. Eidos lasciò il mondo dei PC con Championship Manager 2010 per trasferirsi nel mondo mobile e, dopo l’acquisizione della nipponica Square Enix, affermarsi nel 2013 con il nome di Champ Man su Iphone e Android (la versione free 2015 è stata scaricata sui soli smartphone Android oltre un milione di volte).
Football Manager di SI è diventato invece un colosso mondiale, replicando il successo che il primo FM aveva conseguito oltre 30 anni fa. La versione mobile (10 €) e quella PC (intorno ai 50 €) hanno venduto cumulativamente più di 15 milioni di copie, risultando tra i manageriali più giocati in Rete.
Gli aggiornamenti arrecati da Sport Interactive hanno portato alla serie grafica in 3D, con le azioni mostrate direttamente sul campo: un’innovazione che ha certamente avvicinato al manageriale utenti più avvezzi ai simulatori di maggior successo, ma che ha contribuito, allo stesso tempo, a rispolverare il vecchio ed intramontabile CM 01/02, tuttora il migliore per i veri appassionati di calcio e di videogame manageriali in senso stretto.

giovedì 10 marzo 2016

Championship Manager (Scudetto): una storia di calcio

Era il lontano 1992 quando Paul e Oliver Collyer riescono a farsi pubblicare dalla Domark, poi Eidos, il videogioco manageriale di calcio sul quale stavano lavorando dalla fine degli anni ’80, European Champions.
I nomi dei calciatori non sono quelli reali e la Domark, nota principalmente per il celebre Trival Pursuit e per videogame ispirati al mitico 007, come software house non è proprio ineccepibile.
Il primo lancio non è un successo, ma già il capitolo successivo segna una decisa inversione di tendenza.

L’anno dopo nasce infatti Championship Manager ’93 e la creatura dei due fratelli Collyer comincia a decollare. I giocatori questa volta hanno dati anagrafici reali e vengono inseriti anche i trasferimenti da squadre estere e, cosa di non poco conto in UK, la neonata Premier League. Nello stesso anno esce anche uno spin-off dedicato alla nostra serie A denominato Championship Manager Italia.
Nel 1994 Paul e Oliver, sull’onda del successo raggiunto dalla loro creatura, fondano la Sports Interactive (che dieci anni dopo firmerà un accordo con SEGA per i diritti di pubblicazione dei suoi videogame e il cui studio di Londra, con i suoi circa 70 dipendenti, un nutrito staff di beta tester e addetti al controllo qualità e una rete di un migliaio di ricercatori sparsi per il mondo, due anni dopo sarà interamente rilevato dalla multinazionale dei videogiochi) e nel settembre dell’anno seguente viene lanciato Championship Manager 2, il titolo che decreta il successo della saga CM su scala mondiale, sotto il quale escono CM 96/97 e 97/98.

Il 1996 è l’anno di Championship Manager 3, che include anche la “mitica” versione 01/02.
I giocatori e lo staff tecnico e manageriale inseriti nel database di CM sono ormai diventati circa 30.000 e viene inserita una caratteristica che rivoluzionerà per sempre l’approccio al gioco e che avvicinerà a quest’ultimo anche gli addetti ai lavori del mondo del calcio, vale a dire quell’incertezza sulle caratteristiche tecniche dei giocatori non noti che richiede l’impiego di osservatori per portarle alla luce.
Lo schema concettuale è quello delle porzioni di mappa oscurate che nei giochi di strategia militare implicano il necessario impiego di scout per scoprirle e la novità introdotta in CM diventa l’elemento principale per mettere in piedi una squadra competitiva (o l’unico mezzo per una società non messa benissimo in fatto di conti per procurarsi qualche talento in erba).
Con questa versione il calciomercato si apre anche ad alcuni dei paesi dell’ex Unione Sovietica (prima la Bielorussia), al Paraguay, alla Polonia, all’Olanda e nei settori giovanili delle big di serie A e tra i risultati delle ricerche commissionate ai talent scout iniziano a intravedersi dei veri e propri campioni del futuro (alcuni rimasti "virtuali").

Daniele De Rossi, Alberto Aquilani, Simone Pepe e Arjen Robben sono le giovani leve più citate dagli appassionati di CM 01/02, le promesse che si sono confermate alla grande anche nel mondo del calcio giocato.
Chi, come me, ha iniziato a giocare con club minori e budget ridotti (impossibilitato, dunque, a offrire ingaggi e palcoscenici adeguati alle richieste e alle aspettative dei calciatori italiani più talentuosi, anche se ancora misconosciuti, e di coloro pronti a lasciare i vivai dei club europei più prestigiosi), ricorderà invece tanti piccoli campioni di passaporto portoghese (come Édson Ricardo Nunes Correia Silva e Filipe Oliveira) molto più incisivi da giovanissimi che nella fase della maturità calcistica, l’algerino Abdelkader Ghezzal, Agostino Garofalo (uno dei tanti giovani lanciati da Zeman nel mondo dei professionisti), il centrocampista-difensore senegalese Albaye Papa Diop, il talentuosissimo spagnolo Albert Serrán e i suoi conterranei Diego Cervantes e Armando Lozano,  l’acerbo “pilastro” della difesa Aleksandre K'vakhadze, il richiestissimo Alessandro Potenza, Alvaro ”El Tata” Gonzalez, il costaricano Álvaro Sánchez, l’australiano Carl Valeri, l’angolano Enoque Guilherme e magari le estenuanti trattative per far firmare piccoli fenomeni  non rientrati nel “grosso giro” come Daniele Vantaggiato, Ferdinando Sforzini (sempre infortunato nell’unica occasione in cui sono riuscito ad ingaggiarlo) e Gabriele Perico (e lasciamo perdere i tentativi per portare via dal Pescara il sedicenne Daniel Ciofani o i coetanei Daniele Galloppa dalla Roma e Tiberio Guarente dall’Atalanta!) e i colpi a parametro zero messi a segno appena disponibili un po’ di quattrini, e dopo mesi di negoziazioni per ottenere una decisa riduzione dell’ingaggio richiesto, del calibro di Johnnier Esteiner Montaño, Gaetano D'Agostino, Klaas-Jan Huntelaar, Tonton Zola Moukoko, Julius Aghahowa, Benjani Mwaruwari, Joseph Dayo Oshadogan, Gionatha Spinesi, Daniele Balli, Alessandro Pane, Pius Ikedia (addirittura dal vivaio dell’Ajax!) e il sempre redivivo César Sampaio (in scadenza contratto con il Deportivo e in chiara fase calante, ricordo di averlo ingaggiato per 180mila euro annui dopo una trattativa durata un’intera estate e che ha guidato la Juve Stabia in una storica e meritatissima doppia promozione dalla serie C1 alla serie A).

domenica 6 marzo 2016

Championship Manager 01/02: perché non riesumarlo?



Arsène Wenger l’ha usato a lungo per prepararsi alla ricerca di nuovi talenti. L’Everton ha pagato un bel gruzzoletto per averne una versione da utilizzare in esclusiva molto più ricca di dati di quella in commercio.
Il Vicenza calcio sembrerebbe averlo utilizzato per le sue recenti campagne acquisti. Il Genoa ancora non lo ammette, ma da diversi anni si accaparra alcuni dei migliori talenti a prezzi ragionevoli (e spesso low cost) che scopriamo ogni stagione proprio grazie a questo “assurdo” videogame.
La serie di "Football Manager" è ormai un must per ogni appassionato di calcio e Championship Manager 01/02, la versione CM lanciata nel 2001, nota in Italia come Scudetto, è ancora oggi considerato il miglior capitolo della saga, la versione meglio riuscita in termini di mix tra realtà e virtualità, forse la puntata che ha contribuito più di ogni altra a rendere questo manageriale di calcio il più famoso e venduto al mondo nella sua categoria.
Non è un caso che a distanza di ormai oltre 15 anni dalla sua uscita, e nonostante il rilascio di tante versioni successive molto più appetibili, sia graficamente, sia in termini di interattività, siano in tanti a frequentare i forum online dove si dibatte di questa versione. E da quando, nel 2008, la Eidos Interactive, l’azienda che lo sviluppava, ne ha rilasciato una versione freeware, pare che il volume dei consigli sugli acquisiti, le tattiche e il tipo di marcatura da utilizzare sia addirittura aumentato: grazie agli aggiornamenti del suo enorme database e alla creazione di patch da parte di appassionati dai nomi inverosimili, gli utenti riescono a giocare con lo stesso motore (e stessa “bruttezza” grafica) della versione 01/02 ma con le rose delle squadre aggiornatissime e tanti nuovi talenti (e bidoni) da scoprire, allenare e far esordire in campionato (e tanti bilanci in rosso) .

I punti di forza di questo folle gioco, e di questa riuscitissima versione del 2001, sono d’altronde quelli che creano dipendenza: da un lato, alto realismo tattico, tantissimi campionati e club disponibili ed un immenso ed accurato database creato da tantissimi ricercatori che da tutto il mondo si accingono a segnalare giocatori noti e non; dall’altro, un continuo ripresentarsi di situazioni tipiche di questo sport (e di quelli a squadre, in generale) che mettono a dura prova l’equilibrio in campo e fuori, quali, ad esempio, le lamentele di coloro che non giocano con frequenza e che chiedono, tramite il loro procuratore, di essere ceduti “per  trovare un posto fisso da titolare”, il desiderio dei più bravi di trasferirsi in club più blasonati del vostro, le continue richieste di ritocchi all’ingaggio da parte dei tanti che credono di meritare più di quanto percepito o di essere più importanti per la squadra “di quanto pensi l’allenatore”, le offerte provenienti da altri club intenzionati a soffiarvi quei titolari che ormai sono diventati dei perni fondamentali (anche per l’ambiente), infortuni, turn over, preparazione estiva, allenamenti di gruppo e individuali, interventi chirurgici, terapie e ricoveri vari, amichevoli, tournée estiva, impegni di coppa e recuperi, rapporto con proprietà e media e tanto altro ancora.
Un mix di elementi che rende davvero molto realistico il gioco senza appesantirne la fruibilità, ma costringendovi a pensare da allenatore - manager fin da subito.

giovedì 3 marzo 2016

L'impresa criminale: un modello di analisi






I proventi illegali delle mafie vengono reinvestiti principalmente in attività immobiliari e titoli mobiliari, la prima forma di riciclaggio di denaro sporco.
Dai dati forniti nello stesso anno dall’Agenzia Nazionale per i Beni Sequestrati e Confiscati, i beni confiscati in via definitiva alle organizzazioni criminali si suddividono in 11.238 i beni immobili e 1.708 aziende, quasi il 30% di queste attive nel settore del commercio (29,4%), il 28,8% in quello dell’edilizia (28,8%) e il 10,5% in quello della ristorazione. Un dato quest’ultimo che non può che aumentare, vista l’impennata del numero di franchising attivi in questo segmento registratasi in questi ultimi anni.
Dei beni confiscati, il 42% è sito in Sicilia, il 15% in Campania, il 14% in Calabria e il 9% in Puglia, mentre del restante 20%, il 9% è in Lombardia e il 5% nel Lazio.
Dai dati pubblicati dal Ministero dell’Interno il patrimonio sottratto sino al 2013 alla criminalità organizzata e a disposizione dello Stato ammonta almeno a 20 miliardi di euro (dato non attualizzato), ma il 90% delle aziende confiscate fallisce per una cronica inadeguatezza della legislazione in materia, che per quanto in continua rivisitazione è ancora incapace di fornire gli strumenti necessari per l’emersione alla legalità e di valorizzarne l’enorme potenzialità economica.
Il problema, però, non riguarda soltanto l’Italia ma concerne l’intero Vecchio Continente, poiché il gap legislativo continentale è ugualmente inadeguato e scarseggia il contributo dei vari Stati membri.
Il risultato di queste lacune è sotto gli occhi di tutti: in Italia spesso i beni confiscati ai mafiosi vengono riconsegnati proprio ad essi tramite dei prestanome, un immobile su tre è di fatto inutilizzabile e solo un’azienda su 30 è attiva sul mercato e ha dei dipendenti che quotidianamente si presentano al lavoro.
I problemi si ripresentano anche per quanto riguarda i crediti incagliati relativi ai beni immobili sequestrati e confiscati alla malavita organizzata.
Quando ad essere colpita è un’azienda media o grande, anche al Centro e al Nord, dove la stretta creditizia è meno opprimente che nel resto del Paese, sorgono delle conseguenze giuridiche rilevanti sui rapporti commerciali, finanziari e di lavoro, coinvolgendo soggetti terzi estranei agli atti criminali che hanno in essere rapporti contrattuali con colui finito sotto inchiesta. Stessa dinamica per le ipoteche accese sugli immobili confiscati e sequestrati, con gli ovvi problemi di tutela dei propri crediti che nascono in capo agli istituti di credito coinvolti.

Bisogna tuttavia sottolineare che l’analisi del crimine organizzato ha fatto grandi passi in avanti grazie soprattutto all’introduzione in Italia del modello economico del crimine di Gary Becker, vera pietra miliare dello studio delle mafie dal punto di vista economico ed econometrico e punto di partenze di ogni modello costruito nel nostro Paese ed adattato alle specificità italiane.
In esso i clan sono visti come imprese criminali, come soggetti cioè che forniscono beni e servizi illeciti ad un pubblico di consumatori/vittime secondo il principio dell’ottimo economico, che agiscono inizialmente sfruttando i vecchi business criminali per poi allargare i loro affari ricorrendo ad alleanze strategiche temporanee mirando comunque a quel monopolio territoriale che costituisce sempre l’obiettivo principale del loro agire.
Introdotto il concetto di impresa criminale, il lavoro prosegue evidenziando l’assetto strategico e il profilo organizzativo/funzionale della stessa, evidenziando il ruolo cardine del riciclaggio e le conseguenze di questo sul sistema sociale ed economico di riferimento.
L’analisi verte poi sulle relazioni “patologiche” che caratterizzano l’ambiente dove la compenetrazione del fenomeno mafioso è più marcata, ricorrendo ai principali modelli econometrici maggiormente utilizzati per evidenziarle, per descrivere infine il contesto territoriale che più di tutti mette a nudo la pericolosità di tali patologie e presente quelle condizioni ambientali necessarie per il proliferare delle cosche criminali, il Mezzogiorno d’Italia.

dalla prefazione de l'economia criminale: la connotazione economica del crimine