lunedì 31 ottobre 2016

Ferrara: quando la storia segna l'atmosfera di una città


Arriviamo a Ferrara di venerdì sera assieme a tantissimi pendolari e studenti.
Il regionale veloce preso a Padova ci lascia all’altezza di un’uscita secondaria della stazione proprio in prossimità di viale Cavour, la strada ideale per incamminarci verso il centro. Alloggiamo a pochi metri dal Palazzo dei Diamanti e da Corso Ercole d’Este, cronologicamente il primo viale d’Europa e del mondo. Il “nostro” host ci delizia di informazioni storiche e dritte molto gradite sulla stupenda città patrimonio culturale del Rinascimento, quando da ducato indipendente durante la signoria degli Este ospitò, tra le tante personalità illustri dell’epoca, Ludovico Ariosto, Torquato Tasso, Giovanni Pico della Mirandola, Matteo Maria Boiardo, Piero della Francesca, Leon Battista Alberti, Rogier van der Weyden, Andrea Mantegna, Tiziano, Giovanni Bellini, Guarino Veronese e il natìo Girolamo Savonarola.
Appena presa confidenza con il monolocale affittato per la notte e rimessi in sesto dopo il tour padovano e l’oretta passata in treno ci avviamo verso il centro per cenare.
Il Castello d’Este è un passaggio obbligato per recarci in uno dei posti gentilmente segnalatici dal nostro simpaticissimo “Virgilio” di Ferrara e colpisce alla sua sinistra, complice il gioco di luci che lo illuminano, il Teatro Comunale, da marzo 2014 intitolato al maestro Claudio Abbado, che ne fu direttore per lungo tempo.


Dopo una cena a base di cappellacci alla zucca con ragu, salama al sugo con purè, Sangiovese e tenerina, rientriamo fiancheggiando nuovamente il Castello d’Este e ripercorrendo il Corso Ercole d’Este fino all’incrocio con Corso Biagio Rossetti, dove costeggiamo di nuovo le pareti del Palazzo dei Diamanti, del quale Rossetti fu l’architetto, prima di rintanarci.
Il mattino successivo, dopo una foto al Palazzo dei Diamanti, partiamo alla volta dell’altro versante del Corso Ercole d’Este, quello che conduce alle mura storiche della città passando davanti al Parco Massari, all’Università, all’ingresso della Certosa e ad una bella sequenza di abitazioni tutte basse e dal caratteristico cotto ferrarese fino a viale Orlando Furioso.





Giunti in fondo al Corso, decidiamo di tornare indietro e avviarci al centro deviando dalla Certosa (e cimitero monumentale) verso Corso Porta di Mare, la continuazione di Corso Rossetti, attraverso via Borso, parallela al Corso Ercole d’Este. La strada sbuca di fronte a Piazza Ariostea, interessante punto (dove abbiamo fatto colazione) dal quale ci avviamo verso il centro percorrendo via Palestro e Corso della Giovecca.


Passeggiando per Corso della Giovecca arriviamo proprio di fronte al Castello d’Este, all’angolo del Teatro Comunale, e da qui parte il giro nel cuore di Ferrara.



Dopo il Castello, seguendo Corso Martiri della Libertà, incontriamo Piazza Savonarola, il Palazzo del Municipio, la Cattedrale ("impacchettata" per lavori) e Piazza Trento e Trieste, passaggi imperdibili per chiunque visiti Ferrara.





Da qui ci avviamo verso Via delle Volte attraverso via San Romano, via Ragno e Piazza Carbone, individuando, grazie ai graditissimi suggerimenti di un residente, dove prenotare per il pranzo, così da allungarci nel mentre a Palazzo Schifanoia.





Suggestiva la visita alla sede museale del Palazzo, per quanto limitata a due sole sale, una vera “perla” rinascimentale, e ottimo il pranzo in quella parte della città, intorno alle Volte, meno turistica e più residenziale, ma anch’essa ricca di fascino e tanta storia.


Piacevole poi ripercorrere le strade del centro in pieno pomeriggio dedicando maggiore attenzione ai negozi che vi si affacciano, prima di incamminarci definitivamene verso la stazione ferroviaria per tornarcene a casa.
Una città dal centro incantevole e affabilmente segnata dal suo glorioso passato.


domenica 30 ottobre 2016

Padova in un giorno: una piacevole “follia"


Padova è una città bellissima. Ricca di importanti ed affascinanti tesori e siti di grande interesse artistico. Pensare di godersela in poche ore è da “folli”. La soddisfazione di averlo fatto, zaino in spalla, è dunque tanta. Per quanto ciò abbia implicato delle significative rinunce (maturate “strada facendo”).

La corsa è partita dalla Chiesa degli Emeritani, o meglio dal percorso che dalla stazione ferroviaria porta ad essa (sempre più bello man mano che ci avvicina al centro cittadino).


Subito dopo si è raggiunto il giardino dell’Arena, dove sorgono la Cappella degli Scrovegni e i Musei Civici. Il ciclo degli affreschi di Giotto che decorano l’interno della prima (le sculture sono di Giovanni Pisano) rappresenta una delle opere più importanti d’Italia.






I Musei Civici sono il Museo Archeologico, dove sono esposti reperti dall’epoca paleoveneta alla romanità, e il Museo d’Arte, che espone dipinti e sculture dal ‘300 al ‘700 (anche di Giotto, Giorgione, Tiziano, Veronese, Romandino, Tintoretto, Bellini, Canova e Tiepolo), oltre che esposizioni temporanee (ne stavano allestendo e presentando una mentre visitavamo le sale del museo).
Nei chiostri dell’edificio che ospita queste ricchissime ed affascinanti esposizioni frammenti di Padova dall’età romana al ‘700.






Il biglietto che consente queste due importanti soste (anche in termini di tempo quella ai Musei Civici) comprende anche l’accesso a Palazzo Zuckermann, bellissimo edificio in stile ottocentesco posto di fronte ai giardini dell’antica Arena e, dunque, al complesso dei Musei e sede, al primo piano, di Collezioni di Arti Applicate e Decorative e, al secondo, del Museo Bottacin. Consigliatissimo da chiunque abbia incontrato, è la sosta (rinviata nel pomeriggio) che purtroppo è saltata. Fortunatamente non è saltata la visita fugace (troppo, ma il tempo stringeva) al Museo Archeologico rinviata sempre nel pomeriggio, quando, di ritorno dal centro storico e diretti alla stazione, saremmo dovuti passare di nuovo in prossimità del complesso espositivo cittadino.




Procedendo verso il centro, anche per mangiare qualcosa, ci siamo imbattutti nel Caffè Pedrocchi, dal 1800 punto di incontro di intellettuali, accademici e studenti di Padova, e poco dopo, percorrendo via Cavour, nel Palazzo Bò, l’antica università cittadina, nel Palazzo Municipale e, dietro di esso, nel Palazzo della Ragione.





Dopo una capatina alla Piazza del Duomo e la pausa pranzo, ci siamo avviati alla Basilica di Sant’Antonio (la Basilica del Santo), prima, e al Prato della Valle, poi. DI grande impatto visivo e stilistico gli edifici circostanti ques'ultimo.








Un caffè e un dolcino in pieno centro e ritorno alla stazione con deviazione, come detto, al Museo Archeologico.
Poi in viaggio per Ferrara a lungo in piedi stivati sul regionale veloce.
La città merita molta più attenzione, ma la "corsa" è stata davvero piacevole.

domenica 16 ottobre 2016

Portatili: perché ho scelto un Chromebook


Anni fa mi ero deciso ad ‘ammodernare’ il mio super portatile Asus pagato un accidente 5 anni prima e, di fronte a tantissimi modelli equipaggiati già con  quanto mi serviva in commercio ad un prezzo spaventosamente inferiore al mio vecchio notebook, di gran lunga più eleganti, meno faticosi per la vista, più maneggevoli e leggeri di esso, mi ero reso conto che non valeva la pena investire una significativa sommetta per riesumare una vecchia, per quanto validissima, ‘macchina’ e che, viceversa, mi conveniva senza dubbio essere al passo con i tempi.
Nonostante un certo attaccamento al mio primo notebook, avevo capito, dunque, di non rientrare perfettamente tra quella categoria di consumer che avevano fatto la fortuna di Asus nei primi anni di questo secolo e né di coloro che stavano contribuendo a quella, ad esempio, di Apple, il colosso del settore che più di tutti, tanto per l’ingente investimento iniziale richiesto per i suoi prodotti, quanto per le azzeccatissime politiche di marketing e fidelizzazione della clientela portate avanti nei decenni, è riuscito fino ad oggi a far intendere i propri prodotti come beni durevoli veri e propri. Una contraddizione, a pensarci bene, perché sappiamo che una prerogativa del mercato hi-tech è quella che tutto ‘è già vecchio quando è in vendita’ e quanto guidino le scelte dei consumatori la praticità, il design, l’economicità e la possibilità di risparmiare sull’assistenza.

Preso atto di quanto mi convenisse cambiare il mio notebook anziché aggiungerci qualche stecca di ram, una nuova batteria e apportare qualche accorgimento alla scheda grafica, ero però distratto da una nuova tipologia di portatile, il netbook, un mini-portatile (11 pollici) molto accattivante esteticamente e dal punto di vista pratico e dotato di tutto quanto solitamente installato su pc di dimensioni ben diverse. Un portatile concepito soprattutto per gli internauti, con una ram e un disco rigido di dimensioni contenute ma apparentemente più che sufficienti per navigare e lavorare sul web, ma che lasciavano aperte questioni quali la sopportabilità dei nuovi sistemi operativi Windows sul mercato (e soprattutto dei relativi aggiornamenti), la possibilità di installarci su dei programmi professionali e l’eccessiva dipendenza dalla rete. Nel caso mio, inoltre, l’acquisto di uno di questi intriganti (e costosissimi, all’epoca) ‘giocattolini’ implicava anche l’ammodernamento del mio vecchio Asus e la sua consacrazione definitiva a pc ‘fisso’.
Così finì per ripiegare su un notebook, un Acer Aspire sottilissimo da 15,6 pollici, dal design molto piacevole ancora oggi, color alluminio, con 4 GB di ram, 500 GB di disco fisso, un peso di poco superiore a 1,5 kg, trasportabile facendo presa anche con due sole dita, senza limitazioni per quanto riguarda il posizionamento di fronte allo schermo in fatto di visibilità, con un lettore/masterizzatore cd potentissimo e dotato di ogni tipologia di porta e accesso per periferiche, penne usb, cavo hdmi e altro.
Costo dell’operazione 499 euro, la metà del tfr che mi era stato liquidato a seguito delle dimissioni presentate presso la mia vecchia azienda, ed un unico limite evidenziatomi dal ‘commesso’ del Mondadori Store dove avevo concluso l’affare: un modesto processore targato Intel, che però non m’avrebbe penalizzato in tutto ciò che c’avrei fatto.

Devo ammettere che l'acquisto, di fatto, m’ha dato inizialmente tante soddisfazioni. Come 'aspirante' blogger, web editor e, in generale, utente che ha beneficiato di un bel po' degli strumenti che identifichiamo nel calderone ribattezzato anni fa come web 2.0. Come appassionato di Championship Manager 01/02 (ricorrendo a driver per Windows 95 e 98). Come emigrante che si trascina dietro il suo notebook per utilizzarlo in treno, in aeroporto e dovunque si muova durante le ferie estive e natalizie. Come internauta appassionato di cinema e musica, sempre alla ricerca quindi di un modo che consenta di recuperare online titoli e opere degne di nota senza violare leggi o compromettere il funzionamento del proprio pc. Come trader occasionale e autodidatta da sempre.
Il limite che si è evidenziato a meno di due anni dall’acquisto è stato tuttavia il suo surriscaldamento. Cosa che mi ha preoccupato molto più seriamente del calo della durata delle batterie (da 6 a 2 ore) iniziato già durante il primo anno di vita.
Ciò mi ha costretto infatti ad evitarne l’utilizzo poggiandolo, ad esempio, sulle gambe o su una superficie soffice e calda (divano o letto) e alla distanza, pena il blocco del funzionamento per il raggiungimento di temperature insopportabili anche per l'utente, ad usufruire di una base con un sistema di ventole per lavorarci senza troppi timori di ‘rimanere a piedi’. Cosa che, insieme al progressivo allungarsi dei tempi di avvio che ho riscontrato anno dopo anno (e aggiornamenti dopo aggiornamenti), mi ha spinto a considerare il notebook quasi come un pc fisso, una workstation che sempre più di rado mi ha seguito durante le mie traversate dello stivale e, addirittura, i mie spostamenti dentro casa.
Un ‘difetto’, inoltre, che ho scoperto essere stato riscontrato su tutta una serie di modelli Acer e che oggi riguarda gran parte dei portatili in circolazione (complice Windows, processori sempre più potenti, aggiornamenti vari e compattezza estrema dei nuovi modelli), e non solo quelli di fascia economica o media. Un "problema" che, con i dovuti accorgimenti, non mi ha impedito di sfruttare al meglio le potenzialità del pc e di lavorarci, giocarci e usarlo per un'intensa attività di dowloading, magari spesso contemporaneamente e leggendo anche qualche pagina web, ma che mi ha fatto riflettere più volte sul senso di mobilità che avrei voluto asssociare ad un notebook.

Ed ecco che ho ricominciato a guardare con occhio più clinico quanto trovavo nei negozi fisici e su quelli online in fatto di dispositivi mobile che più si avvicinassero ad un notebook tradizionale. Ecco i tablet, sempre più sofisticati e sottili, ai quali andrebbe aggiunto però un tastierino e con ciò non otterrei comunque ciò che idealmente stavo cercando. Ci sono i convertibili, molti montano una tastiera "ad incastro" che in fatto di funzionalità e performance non ha nulla da invidiare a quelle fisse dei notebook, ma, mi chiedevo, quanto lo utilizzerei un affare del genere soltanto in versione tablet? Eppue su qualche modello Huawei un pensierino stavo per farcelo, ma credo ancora ora, dopo aver cambiato idea, che a indirizzarmi fossero più le gradevoli linee e il piacevole design con cui la casa cinese riesce a rendere accattivanti i suoi prodotti che il desiderio del tipo di oggetto in se. Un compromesso sembrava essere rappresentato da qualche notebook da 11 o 13 pollici con in dotazione un sistema Windows antecedente al 10, divenuto l'incubo di ogni utente di un personal computer ben prima dl suo lancio e delle prime notizie circa i suoi mastodontici aggiornamenti. Ma ero diffidente sull'utilizzo che ne avrei fatto e sulle pretese che avrei avuto da un portatile con su tutto ciò che avrei montato su un modello di dimensioni maggiori ma destinato, stando alle recensioni che avevo letto e alle varie consulenze richieste in giro tra gli espositori dei negozi, ad essere poco performante se utilizzato davvero a pieno regime (vale a dire spaziando troppo spensieratamente tra navigazione, operatività con eseguibili, videogame e downloading).

La vera soluzione ideale, quella che "non sbagli mai", era diventata (guarda caso, come anni prima) l'acquisto di un altro notebook tradizionale da 15 o più poliici, magari con 8 GB di Ram e 1 Tera di memoria di massa, scheda video anche sopra la media, display full HD, come alcuni Lenovo in commercio nei grossi centri specializzati sotto i 500 euro o un ottimo HP ogni tanto in offerta intorno alla stessa cifra su Amazon. Era la soluzione che credevo avrei adottata anch'io, ma continuavo a cercare tra i tablet e i notebook in formato mini, imbattendomi anche in un'alternativa che non avevo assolutamente preso in considerazione, i Chromebook. Portatili dotati del sistema di Google, Chrome Os, dunque non utilizzabili con eseguibili e software di parti terze, apparentemente chiusi ma in realtà con tutto il mondo Chrome a portata di mano e sempre pronti all'utilizzo, perfetti per la mobilità in quanto leggerissimi, veloci e performanti, privi di tutto l'impianto fisico titpico di un notebook tradizionale che va ad impattare sull'avvio dello stesso, la rapidità di esecuzione dei comandi, il riscaldamento della macchina e la durata della batteria e caratterizzati tutti da un rapporto qualità/prezzo di tutto rispetto. Iniziavo a guardare con curiosità e, al contempo, scetticismo questa possibile nuova via e credevo fosse la meno percorribile, forse la più rischiosa di tutte, se non altro per la forte dipendenza culturale dall'ambiente (e dalla cultura) Windows che tanti anni passati davanti al pc credevo di aver sviluppato. Timore che in realtà si è dimostrato un vero e proprio preconcetto sgretolatosi già al primo accesso al chromebook che poi ho scelto ed ordinato online.

mercoledì 12 ottobre 2016

Facebook per le aziende: come funziona Workplace



Dal primo ottobre Facebook si occupa anche di lavoro.  
Dopo averlo testato per circa due anni con un numero limitato di aziende, il social creata da Mark Zuckerberg questo mese ha fatto esordire online il suo nuovo servizio Workplace, la piattaforma per creare social network aziendali a pagamento.
Il sistema, circolato con il nome di “Facebook at Work” tra la fine del 2014 e i primi mesi dello scorso anno, attraverso strumenti molto simili a quelli utilizzati con il noto sociale network, si propone come alternativa a quelli interni a cui tante aziende fanno ricorso per mettere i dipendenti in contatto tra loro.  
Un segmento social, ricordiamolo, che sta attirando l’attenzione di start-up e big del settore, come ad esempio Slack, nel primo caso, e Microsoft, che, tra le tante novità, sta estendendo le funzionalità di Skype per renderlo più idoneo a gestire le comunicazioni nelle imprese, e Google, per quanto riguarda la condivisione delle applicazioni per preparare documenti e fogli di calcolo tra colleghi, nel secondo.
Come funziona Workplace. Per chi usa abitualmente Facebook (che conta ormai 1,7 miliardi di iscritti), molti servizi di Workplace sono già ampiamente noti. È possibile infatti pubblicare singoli post, lasciare commenti, trasmettere video in diretta, caricare immagini, scrivere in chat di gruppo, partecipare a videoconferenze e visualizzare una sezione Notizie con tutti gli aggiornamenti lasciati dagli altri utenti. Workplace dà anche la possibilità di condividere documenti e file di vario tipo, attività che in tante aziende sono spesso gestite ancora con le tradizionali email.
Il funzionamento di base delle due piattaforme è dunque identico, ma Workplace è limitato alle persone che lavorano in un’azienda, come se quest’ultima avesse un proprio social network.  
Come Facebook, inoltre, permette di estendere la dimensione di ogni social network aziendale senza particolari limiti.

Il servizio è a pagamento ma Facebook, grazie alle tariffe alquanto vantaggiose previste, conta di raccogliere immediati consensi (e tante adesioni) già nei prossimi mesi.  
A differenza dei “specialisti” che hanno acquistato notorietà nel segmento lavoro, con la nuova creatura di casa Zuckerberg l’azienda non paga per ogni account attivato, ma solo per quelli attivi almeno una volta al mese: una soluzione che se per le piccole aziende non dovrebbe comportare chissà quale risparmio, diventa invece vantaggiosa per tutte quelle società con decine di migliaia di utenti.
Così ogni utente attivo al mese costerebbe all’azienda 3 dollari se sono attivi fino a 1.000 utenti, 2 dollari fino a 10mila utenti e infine 1 dollaro oltre tale soglia, a fronte di tariffe praticate dai competitor che vanno dai 15 ai 10 dollari.  
E per coloro che sono iscritti ma poco attivi, Workplace promette nuove soluzioni per incrementare il coinvolgimento di tutti.


Le prime aziende. Nella sua fase di test Workplace è stato adottato dalla Royal Bank of Scotland, che conta oltre 100mila dipendenti, mentre tra gli attuali nuovi clienti figurano Danone, circa 100mila impiegati, la catena di caffetterie Starbucks, quasi 240mila dipendenti, e il noto servizio per le prenotazioni online di alberghi booking.com, che occupa oggi oltre 13mila dipendenti.  
La sfida a Linkedin è partita.

sabato 8 ottobre 2016

Notebook: sono i Chromebook i portatili del futuro?



Pochi anni fa la stampa specializzata, i blog più seguiti e i cosiddetti esperti del settore hi-tech e del segmento mobile ci parlavano del fallimento dei Chromebook. Troppo chiusi, limitati alla rete, insoddisfacenti per chi voleva andare oltre la posta elettronica e i social network, molto lontani dalle mitiche finestre con le quali Bill Gates aveva fatto diventare i personal computer un bene fruibile da tutti e quindi decisamente distanti anni luce dalla filosofia Windows. Queste, in sintesi, le motivazioni principali della sentenza decretata dal mondo del web e dell’editoria agli inizi di questo decennio. Tutte condivisibili, magari in misura meno netta e definitiva, ma forse eccessivamente condizionate dal quel bisogno di attirare l’attenzione del lettore con tecniche di titolazione sempre più esasperanti e sentenziando un (presunto) flop di casa Google. Eventualità, quest’ultima, che già di per sé spingerebbe una notizia online fino a farla diventare virale in pochi attimi. 

Oggi le stesse testate specializzate nel settore e non (e tra queste penso a periodici, siti e blog che si occupano di moda, tendenze, social network, prodotti “casual” e media) arrivano a reputare i Chromebook come i portatili del futuro e a parlare di filosofia Chrome come novità assoluta nel panorama dell’informatica su scala mondiale e antagonista di quella “filosofia” Windows che ha rivoluzionato il mondo dell’informatica e le abitudini dei consumatori.
E tutto perchè tra la fine dello scorso anno e i primi mesi di questo i portatili che montano il sistema operativo made in 
Montain View hanno superato nelle vendite quelli di Apple (2 milioni di pezzi contro 1,76 secondo le ricerche di IDC sul primo trimestre 2016). 
Un dato che senza dubbio fa notizia, soprattutto se il settore dove ciò è avvenuto è quello educational, laddove l’azienda fondata da Steve Jobs e Tim Cook è leader incontrastata da decenni, e il paese gli Stati Uniti, che dopo l’esperienza passata con i Sony Vaio, da anni esibisce i prodotti della Mela in ogni film, telefilm, programma TV e nelle uscite pubbliche di politici, scrittori e chiunque abbia un minimo di notorietà, ma che da solo non può di certo rappresentare il trend del mercato globale dei notebook.


Personalmente credo che i Chromebook siano oggi (e lo saranno per un bel po’ di anni a venire) i dispositivi “mobile” più congeniali per chi cerca la sintesi ottimale tra i fattori di successo di notebook e tablet e, quindi, il superamento dei limiti di entrambi in fatto di portabilità piena, il primo, e utilizzo più tradizionale (e partecipativo), il secondo. 
I portatili che montano il sistema di big G sono leggeri, maneggevoli, si avviano in pochissimi secondi, hanno un elevato grado di fruibilità e mettono a disposizione dell’utente fin dal primo avvio le Google App più note (tante utilizzabili anche offline) e le estensioni  agli applicativi più utilizzati del pacchetto Office di Microsoft (e non solo). Per chi vuole andare oltre Google, grazie allo store di Chrome (già predisposto anche per le app Android in attesa si perfezioni l’accordo tra i due produttori) si possono scaricare (gratis e non) app ed estensioni di produttori indipendenti alternative ai software più noti che si utilizzano normalmente con Windows, mentre per chi ama la mobilità, con le funzionalità del sistema può facilmente condividere il pc, utilizzare il cloud e il remote control senza avere alcuna specifica competenza.

Certo, alcuni convertibili 2 in 1 da poco in commercio permettono di cimentarsi anch’essi con molte di queste attività, ma anche i modelli dotati di una tastiera davvero performante e adattabili al meglio ad un utilizzo da notebook non diventano mai dei veri e propri portatili. E quelli che più ci si avvicinano in termini di funzionalità richiedono comunque uno sforzo economico maggiore rispetto ad un Chromebook. Non dimentichiamo infatti che uno dei fattori di successo dei portatili con sistema Chrome OS è proprio il rapporto qualità/prezzo (è facile trovare una carrellata di portatili dotati di sistema operativo Chrome OS con un prezzo compreso tra i 300 e i 400 dollari Usa) e se i convertibili stanno riscuotendo un certo successo, al di là delle dispendiose campagne pubblicitarie messe in piedi dai principali produttori, è anche perché, a mio avviso, ad oggi i Chromebook non sono ancora venduti capillarmente su scala mondiale (l’Italia è uno dei Paesi dove ancora non sono commercializzati). 

Se devo o voglio tuttavia utilizzare degli eseguibili (per lavoro, esigenze varie o solo per abitudini consolidate), giocare a qualche videogame lanciato negli ultimi dieci anni, servirmi dell’intero pacchetto Office o, in generale, fruire delle caratteristiche più tradizionali di un portatile, non posso fare invece a meno di orientare le mie scelte su un notebook con un sistema operativo Windows o Mac. È un passaggio obbligato oggi e lo sarà anche in futuro. 
Non credo infatti (magari mi sbaglierò) che Google arriverà ad allargare il proprio sistema agli eseguibili per competere con i propri partner sullo stesso terreno e sono convinto (auspicandomelo, inoltre) che, nonostante le dinamiche economiche spingano all'estrema standardizzazione per creare margini di guadagno, la tendenza alla differenziazione reggerà ancora a lungo.