sabato 8 giugno 2019

Derivati finanziari: le opzioni

Si narra che Talete, consultando gli astri, avesse previsto il buon successo del raccolto delle olive, assicurandosi dagli agricoltori il diritto di utilizzare la loro produzione (e i loro frantoi) nella stagione successiva attraverso il pagamento di un premio.
Rilevandosi esatte le sue previsioni, il celebre astrologo riuscì a rivendere il raccolto agli agricoltori ad un prezzo ben superiore a quello previsto dal diritto acquistato, traendo così profitto dalle sue intuizioni.

Piace ricordare questo aneddoto (attribuito ad Aristotele) quando si parla di derivati perché lo scienziato greco, di origini povere (ma come molti suoi contemporanei bravo a sfruttare i propri colpi di genio anche in campo economico), di fatto aveva negoziato diritti d’opzione. Strumenti quotati ufficialmente per la prima volta su scala mondiale soltanto agli inizi degli anni ’70 dello scorso secolo ma della cui compravendita si ha traccia in tutte le antiche civiltà, ad oriente come ad occidente.
L’opzione, come già scritto, è un contratto derivato di base con il quale l’acquirente ha il diritto, ma non il dovere, di comprare, opzione call, o vendere, opzione pull, una determinata quantità di attività finanziarie o reali sottostanti (azioni, obbligazioni, indici, valute, materie prime, etc.) ad un prezzo determinato (strike price o exercise price) ed entro una specifica data (opzione di tipo americano) o soltanto alla scadenza (opzione di tipo europeo).

Anche le opzioni, come i futures, presentano quell’elevato grado di standardizzazione da permetterne la facile negoziabilità sui mercati e anche per esse è indispensabile che l’attività sottostante abbia un mercato ampio con quotazioni ufficiali e pubblicamente riconosciute.

Con le opzioni l’investitore può decidere diverse strategie sul sottostante senza vincolare grosse somme all’operazione.
Ma mentre chi acquista un’opzione si riserva un diritto che può esercitare, acquistando il sottostante perché conveniente, o meno, abbandonando l’opzione alla scadenza e limitando le perdite al solo premio (che si perde anche nel caso di esercizio), il venditore di un’opzione può registrare sì un profitto pari al massimo al premio incassato per la cessione, ma si espone a perdite in astratto illimitate nel caso l’acquirente eserciti l’opzione acquistata con profitto.

Per calcolare quanto eventualmente guadagnato dall’esercizio di un’opzione è dunque necessario considerare sempre il premio versato, che è tanto maggiore quanto più lontana è la scadenza del contratto negoziato e quanto più il prezzo di mercato è superiore (opzione call) o minore (opzione put) allo strike price.

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