domenica 16 giugno 2019

Quanto vale un’opzione

Il valore di un’opzione è funzione di cinque variabili principali:

- Prezzo di esercizio;

- Prezzo di mercato dell’attività sottostante;

- Tempo residuo alla scadenza;

- Volatilità del prezzo del sottostante;

- Tasso d’interesse a breve termine e a basso rischio (il riferimento è solitamente ai titoli di Stato a breve periodo, come i BOT in Italia).

I primi due hanno un effetto totalmente diverso sul valore di un’opzione a seconda che si tratti di call o put.
Nel caso di un’opzione call, a parità di altre condizioni essa ha un valore tanto più elevato quanto minore è il prezzo d’esercizio. Un’opzione put, viceversa, ha un valore tanto più alto quanto maggiore è il prezzo d’esercizio.
Per quanto riguarda il prezzo di mercato del sottostante, la relazione è opposta.
Un’opzione call incrementa il proprio valore al crescere del prezzo di mercato del sottostante, mentre per una put avviene l’esatto contrario.


Per ogni opzione, in generale, vale invece che il suo valore è maggiore quanto maggiore è la residua e elevata è la volatilità del prezzo del sottostante: le opzioni sono in qualche modo assimilate a delle polizze assicurative e, di conseguenza, più lunga è la durata, più alto è il rischio, più vale lo strumento di copertura.

Per quanto riguarda il tasso di interesse di breve periodo, la relazione con le opzioni non è né identica, né immediata. In linea di massima, un aumento del tasso di interesse di breve periodo a rischio basso, tra l’aumento del tasso atteso di rendimento del sottostante e la diminuzione dei guadagni attesi futuri che implica, dovrebbe avere effetti positivi sul valore di una call e negativi su quello di una put. 

Altro fattore che può influire, anche se indirettamente, sul valore di alcune opzioni è lo stacco dei dividendi.
I dividendi deprimono infatti il valore di un’azione e, di conseguenza, del derivato di cui essa è sottostante, cosicché si potrebbe affermare che un buon dividendo può avere un effetto negativo sulle call e positivo sulle put, per quanto in parte già scontato, appunto, dall’andamento del sottostante.

La sensibilità del valore di un’opzione ai fattori appena elencati si misura attraverso cinque coefficienti, detti anche “greche” delle opzioni.

Il più importante di questi è il delta di un’opzione, che misura la variazione che subirebbe il prezzo di un’opzione se il prezzo dell’attività sottostante variasse di un’unità. Le call hanno delta positivo quando cresce il mercato dell’attività sottostante. Condizione che per le put, viceversa, genera un delta negativo.

delta (δ) = variazione del prezzo dell’opzione/variazione del prezzo del sottostante

Altro coefficiente molto importante è il vega, che misura la sensibilità di un’opzione alla volatilità del sottostante, mentre il gamma, che misura la variazione del delta al variare del prezzo dell’attività sottostante, il theta, che misura la sensibilità di un’opzione al variare della sua vita residua, e il rho, che la misura al variare del tasso di interesse a breve, pur seguitissimi in un quadro generale d’analisi, hanno singolarmente meno peso nelle decisioni degli operatori.

A seconda della relazione tra prezzo di esercizio e prezzo di mercato dell’attività sottostante, si possono avere tre categorie di opzioni.
Quando il prezzo di mercato dell’attività sottostante è uguale a quello di esercizio, per cui il detentore dell’opzione non ha interesse e né convenienza ad esercitarla perché indifferente, si dice che l’opzione è at the money.
Un’opzione si dice in the money se invece il detentore ha convenienza ad esercitarla, situazione che si verifica, ad esempio, quando il prezzo di esercizio è inferiore al prezzo di mercato per una call e viceversa per una put.
Mentre è out of the money quando il detentore non ha affatto convenienza ad esercitarla alla scadenza perché, ad esempio, il prezzo d’esercizio è superiore al prezzo di mercato per una call e viceversa per una put.

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