La situazione ereditata dall’esecutivo era decisamente drastica.
Il ministro Alberto De’ Stefani, titolare del nuovo dicastero dopo essere stato docente universitario a Roma e squadrista e deputato del PNF, propose un piano di rientro che passò per provvedimenti molto incisivi, tra cui l’eliminazione della tassa di successione o l’introduzione di un’imposizione personale complementare progressiva, con i quali riuscì prima a ridurre il deficit e poi, nel 1925, a decretare il raggiungimento del pareggio di bilancio.
Per gran parte dell’opinione pubblica si trattò in realtà di pura propaganda, poiché i buoni risultati sarebbero provenuti dalla cessazione delle uscite per la guerra, mentre per gli avversari di De’ Stefani gli attivi di bilancio furono frutto soprattutto di artifici contabili, come l’attualizzazione di storni di uscite risalenti a decenni dietro.
Inoltre, la gestione del debito pubblico in senso stretto fece segnare diversi flop.
Nel 1924 venne emesso un prestito da 5 miliardi per diminuire il debito fluttuante, ma la sua sottoscrizione di fermò al 30% del totale. Le conseguenze, in termini di fiducia da parte degli investitori e degli altri Stati, furono gravissime e i tassi sui titoli ordinari volarono al 6%.
Per rimediare a tale batosta, verso la fine dello stesso anno, furono emessi buoni postali di risparmio che produssero, tuttavia, effetti positivi soltanto nel medio periodo.