domenica 31 marzo 2019

Derivati finanziari: le categorie principali

Con il termini derivati abbiamo visto intendesi gli strumenti finanziari il cui valore “deriva” da quello delle attività sottostanti.  Queste possono essere merci, titoli, tassi, valute, indici finanziari o altri tipi di indici, crediti e anche altri contratti derivati.
Nati per permettere a imprese e istituzioni di tutelarsi dai rischi correlati alla loro attività economica, e soprattutto dal rischio di cambio e dalle oscillazioni dei prezzi delle materie prime e dei tassi d’interesse, il loro utilizzo si è gradualmente esteso ad altre aree di rischio, come quello di credito, con il conseguente proliferare di tante formule contrattuali spesso molto differenti dagli strumenti più noti.

Nella fitta selva di contratti derivati creati fino ad oggi le principali categorie più diffuse sono:

- i futures, contratti per l’acquisto o la vendita, ad un prezzo e ad una data futura prestabiliti, di quantitativi standardizzati di merci, valute o attività finanziarie. Tra i tanti tipi di questi strumenti, trattati su borse specializzate, i più seguiti sono quelli sul brent e sulle principali materie prime impiegate nel sistema industriale, in quanto reputati idonei ad anticipare i prezzi di breve periodo del sottostante e, quindi, degli investimenti in azienda e dei beni finali destinati al consumatore. Tantissima attenzione è inoltre dedicata ai contratti futures sugli indici più rappresentativi delle borse finanziarie, con i quali si cerca di individuare il sentiment degli investitori per la borsa, e le più importanti aziende, del relativo Paese (e, in estrema sintesi, per lo stato di salute della sua economia).

- i forward, con i quali due controparti si impegnano a scambiarsi a scadenza, a prezzi prefissati, il sottostante (strumenti finanziari, tassi d’interesse, valute, merci e dai relativi indici). Molto simili concettualmente ai futures, dai quali differiscono tantissimo, tuttavia, per l’operatività;

- gli swap, contratti stipulati tra due controparti che hanno accesso a due diverse situazioni finanziarie e a distinte condizioni l’una dall’altra. Con essi si è soliti scambiare un tasso d’interesse fisso con uno variabile o una somma in una valuta contro una in una diversa divisa: il loro utilizzo è infatti particolarmente diffuso tra le imprese attive nell’import/export che vogliono tutelarsi dall’apprezzamento o dal deprezzamento della valuta del Paese estero con cui operano;

- le opzioni (options), diritti a comprare (opzione call) o vendere (opzione put) un determinato bene ad un prezzo prefissato entro o ad una data certa, a seconda che si tratti di un’opzione di tipo americano o di tipo europeo. Le opzioni, strumenti derivati tipici utilizzabili sia per finalità speculative, sia assicurative, si caratterizzano soprattutto per limitare le perdite alla sola somma pagata per acquistarle (premio), a fronte di guadagni potenzialmente elevati, grazie all’effetto leva che le caratterizza, correlati all’andamento del sottostante. Dinamica che vale sia per le opzioni call, sia per le opzioni put, anche se per queste ultime, “allo scoperto”, va integrato il “margine di garanzia”.

Tra i contratti derivati da quelli base si ricordano invece il forward rate agreement, il warrant, il cap (contratto i cui diritti si azionano quando il tasso di interesse effettivo sottostante tocca livelli superiori a quello prestabilito), il floor (che ha caratteristiche opposte a quelle del cap), il collar (che incorpora le caratteristiche del cap e del floor e consiste nel definire preventivamente, per l’esercizio dei diritti ad esso sottesi, una banda di oscillazione per il tasso di interesse, fissando fin da subito un minimo ed un massimo), oltre ai titoli cosiddetti “sintetici”.

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