Gli anni Ottanta si caratterizzano per una vera e propria esplosione del debito pubblico, che salirà dal 60% registrato a fine anni ’70 al 100% del Pil alla fine del decennio.
È questo il periodo in cui si viene a formare, per tutta una serie di concause internazionali amplificate da una “spensierata” gestione finanziaria del Paese da parte della classe politica nostrana, quello stock di debito che è fonte di grandi preoccupazioni ancora (e soprattutto) oggi e che condiziona fortemente le scelte politiche dei nostri governi.
La seconda metà degli anni Settanta si era contraddistinta per una corsa dell’indebitamento dello Stato, che già agli albori degli anni ’80 aveva spinto il rapporto deficit/Pil al 65%, quasi 20 punti in più rispetto al 1975 e cinque sugli ultimi mesi del decennio precedente.
Gli Usa ora pressano i Paesi alleati per un abbandono delle politiche keynesiane e l’adozione di una linea più liberista. Negli Stati Uniti e nel Regno Unito si assiste immediatamente ad un’impennata senza precedenti del tasso di disoccupazione e all’annientamento o quasi di ogni tipo di ammortizzatore sociale.
La svolta liberista coinvolge, attraverso lo SME (accordo, a cui l'Italia aveva aderito nel 1979, per il mantenimento della parità di cambio prefissata tra il ± 2,25%, ma che per il nostro Paese, la Spagna, la Gran Bretagna e il Portogallo arrivava al ± 6%), tutte le banche centrali europee e si traduce (1981) nel “divorzio” tra la Banca d’Italia e il Tesoro e nell’adozione di una politica monetaria più restrittiva da parte di Palazzo Koch. Un'inversione di tendenza rispetto alle politiche accomodanti del passato che, venuto meno il finanziamento automatico del debito da parte delle banche centrali, finisce per aggravare ancor più le condizioni economiche dello Stato, già compromesse dal doppio shock petrolifero e, quindi, dall’aumento vertiginoso dei prezzi del petrolio, più che raddoppiato in cinque anni.
Il tutto condito da un contrasto politico tra i principali partiti e da un’ingovernabilità del Paese (già cronica ben oltre 30 anni fa) che non lasciano intravedere alcuna capacità di reagire per via legislativa al mutato quadro economico globale.
Agli occhi del mondo l’Italia, “salvata dalla deriva comunista” pochi anni prima grazie ai finanziamenti del FMI, è ormai una nazione destinata a fallire sotto il peso della speculazione internazionale.
La difesa della lira, con l’impennata dei tassi d’interesse che ne consegue, e la copertura del debito esclusivamente attraverso il disavanzo mettono a durissima prova una popolazione che appena poco più di dieci anni prima aveva vissuto finalmente una fase di benessere e che ora vede bruciare quotidianamente il proprio potere d’acquisto e deteriorarsi lo scenario presente e, soprattutto, futuro. Basti pensare che 1984 gli interessi sul debito pubblico (10% circa quelli sui BoT) arrivano a pesare sulla spesa pubblica per il 24% circa, più della percentuale destinata alla copertura del costo del personale dello Stato, raggiungendo l’11% del Pil (contro una media europea del 4,5%).
Nel 1986, grazie ad un miglioramento della congiuntura economica e ad un contenimento dell’inflazione entro soglie più tollerabili (e più vicine a quelle Istat), il Paese riprende a crescere, ma i tassi d'interesse non rallentano, anzi, si registra addirittura un trend decisamente contrario, con il dato che allunga fino al 12%.
La crescita del Pil, in altri termini, complice una spesa corrente poco disciplinata (siamo negli anni dell’edonismo italiano) e un sistema fiscale risibile, che consente fenomeni di evasione fiscale di proporzioni spaventose, non viene adoperata per calmierare il debito pubblico.
Il debito sovrano continua a crescere del 15-20% annuo e proprio nel 1986 arriva toccare il 90% del Pil.
Compito dei governi diventa quindi quello di intervenire, con urgenza, sulla spesa pubblica e, soprattutto, sui centri di spesa, passando necessariamente per una ristrutturazione dei titoli di Stato, sia in fatto di allungamento della loro vita media, sia cercando di riequilibrare i tassi di interesse tenendo conto della situazione economia e all’inflazione, e sul finire degli anni Ottanta, anche per il successo dell'adesione alle emissioni italiane sui mercati finanziari internazionali, la situazione mostra un lieve miglioramento.
Il contenimento dei tassi, sebbene ancora alti se confrontati con quelli vigenti nelle altre principali economie mondiali, allontana però progressivamente le famiglie dal debito: a fine decennio esse detengono il 54% delle sottoscrizioni dei titoli di Stato, contro il 67% della prima metà del decennio.
Il debito italiano, con Bankitalia che non può più rifinanziarlo, sta diventando sempre più internazionale.