martedì 15 novembre 2016

Trump alla Casa Bianca: ma quanto siamo davvero colpiti?


Le letture (e le riletture) della vittoria di Donald Trump alla corsa per la Casa Bianca spopolano in tv e sul web. Nel primo caso, il fenomeno mi ha aiutato a vedere (e rivedere), per esclusione, qualche bel film, nel secondo a concedere maggior tempo a libri e fumetti.
L’affermazione elettorale del “personaggio” Trump non può comunque lasciare indifferenti media e mondo intero, ma se sessismo, razzismo, rimpianti per i tempi che furono, violenza verbale e minacce di muri e aggressioni militari insieme sappiamo garantire percentuali di consenso sempre a doppia cifra nell’intero occidente, tanto di essa si potrebbe capire recuperando le domande (e le perplessità annesse) che tanti “comuni mortali” si sono poste alla vigilia delle elezioni presidenziali Usa.

La prima che mi viene in mente riguarda una “prassi” dell’elettorato statunitense che non ha nulla a che vedere con eventuali delusioni e/o fallimenti dell’amministrazione uscente (Obama ha avviato una riforma sanitaria invocata dall’85% delle popolazione e ricondotto la disoccupazione dai livelli “reaganiani” dello scoppio della crisi all’attuale 5%): quella di votare, con percentuali di solito schiaccianti, per il candidato del partito che è stato all’opposizione allo scadere del secondo mandato consecutivo dello stesso presidente. Che le “caratteristiche” di Trump avrebbero fortemente scardinato questa “logica dell’alternanza” insita nel DNA degli elettori Usa nessuno ne dubitava, e di fatto la Clinton ha preso più voti e la differenza l’hanno fatta i grandi elettori, ma perchè dare per scontato addirittura uno “strappo storico” in tal senso?

La seconda riguarda la grande abilità di Hillary Clinton di trascinare in guerra qualsiasi ammninistrazione con la quale ha collaborato in tutti questi anni.
Il pacifista Bill Clinton, noto anche come Billary proprio per la grande influenza subita dalla moglie Hillary in fatto di politica estera, dopo essersi distinto dal predecessore Bush per il ritiro delle truppe statunitensi dalla Somalia, nel 1995 si è occupato del conflitto etnico nell’ex Jugoslavia coinvolgendo la NATO in uno delle guerre più atroci in Europa dai tempi del secondo conflitto mondiale ed ordinando i raid aerei contro i serbi di Bosnia per costringerli a sedere al tavolo delle trattative e dispiegare poi le sue forze di pace nei Balcani.
Tre anni dopo, l’ex governatore dell’Arkansas, sempre con Hillary tessitrice dei rapporti con i clan della guerra storicamente “amici” dei repubblicani, dopo gli attentati di Al Qaeda contro le ambasciate Usa in Kenya e Tanzania, ha fatto bombardare numerosi obiettivi ritenuti strategici in Sudan e Afghanistan e l’anno successivo è tornato ad occuparsi della zona balcanica, dove l’esercito a stelle e strisce è stato protagonista assoluto della guerra in Kosovo e della conseguente caduta di Slobodan Milosevico, criminale di guerra stranamente “miracolato” da NATO e USA durante i conflitti etnici del 1998.
Il premio Nobel (2009) per la pace Barack Obama, dopo il ritiro delle truppe inviate in Iraq da G. W. Bush a seguito dei fatti dell’11 settembre e l’invasione aerea della Libia per destabilizzare il dittatore Muammar Gheddafi mentre Hillary era senatore dello Stato di New York, con la “dea della guerra” in veste di segretario di Stato ha avviato una serie di attacchi (fallimentari) contro le postazioni dell’Isis in Iraq e Siria addirittura senza il consenso di quest’ultimo, paese sovrano, ha sostenuto “moralmente” l’Ucraina durante gli attacchi della Russia in Crimea e autorizzato la fornitura di armi letali a Kiev proprio grazie ad una serie di dicumenti stilati dall’ufficio presieduto dalla signora Clinton, prima, e da John Kerry, poi. E sembra che anche l’inasprimento dei rapporti con Cina e Russia siano dovuti al lavoro della Clinton.
Ora, con tutte le cialtronate che il finto anti-establishment Trump potrà combinare, è proprio il timore di nuovi conflitti bellici a dover preoccupare i cittadini statunitensi e tutti noi?

La terza questione è strettamente correlata alle altre due.
Hillary Clinton è stata alla Casa Bianca con Bill per due mandati e con Barack Obama per altri quattro anni. E nel mentre ha ricoperto la carica di senatore dello Stato di New York, stato roccaforte per i democratici, dopo aver perso le primarie presidenziali contro Obama. Dodici anni ai vertici del mondo e sedici sempre al centro delle attenzioni statunitensi: troppi, davvero, per le abitudini a quell’alternanza di cui sopra che abbiamo sempre apprezzato di un Paese che invece spesso non ci piace perchè “esporta democrazia” a suon di guerre, dollari a mafie e gruppi terroristici e minacce di sanzioni e embarghi. Ma nonostante ciò, grazie all’anomalia Trump, è riuscita a canalizzare su di sè la maggioranza dei voti dei cittadini americani, compresi quelli dei delusissimi elettori della prima ora di Obama e dei laburisti di Sanders, per i quali non deve essere stato proprio un gran piacere esprimersi a favore della rediviva signora delle guerre strategiche e dei raid aerei.
Ma davvero è così anomalo che abbia vinto Trump?

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