mercoledì 9 novembre 2016

Referendum costituzionale 2016: un giudizio sul governo, e basta (2° parte)


Se le ragioni del si hanno un impianto ideologico che sa di sconfitta del parlamentarismo nella sua accezione più alta, con quelle invocate a supporto del no sprofondiamo nel comico, spesso addirittura nel trash più estremo, fermi restando quei temibilissimi vuoti legislativi che anche un pinco pallo come me ha da temere senza aver bisogno di citare le analisi di eccelsi (o presunti tali) costituzionalisti o le cagate sparate a zero da qualunquisti e replicanti vari.
D’altronde, convogliare in un’unica direzione il voto di tante persone che hanno un’idea  (o che non l’hanno mai avuta) di Stato e società molto diversa tra di loro non è semplice e la via più agile è quella del terrorismo mediatico e delle bufale, ma davvero siamo messi male in fatto di conoscenza di quella stessa carta che si sostiene si voglia difendere dall’attacco dell’attuale maggioranza. Il governo, sento dire in giro, non avrebbe diritto a toccare la Costituzione perchè non eletto dal popolo. Cosa dire? I governi si formano come prevede la Costituzione, dunque attraverso la fiducia di Camera e Senato (perchè si eleggono i parlamentari nel nostro paese) sulla squadra presentata da colui che ha ricevuto l’incarico dal Presidente della Repubblica dopo che questi ha ascoltato i capigruppo, i segretari di partito e i rappresentanti più autorevoli dei due rami del Parlamento. Ed è ovvio che se a presentarsi alle urne, con un sistema maggioritario, siano due schieramenti è più probabile che a ricevere l’incarico sia il leader di quello che ha ricevuto più voti. Ma ciò non vuol dire che si sia votato il presidente del Consiglio dei ministri o addirittura il governo, ma è una pura questione algebrica. A catena, di conseguenza, sorvolerei anche sull’altra obiezione correlata a questa e molto gettonata, vale a dire che i presidenti della Repubblica abbiano messo in piedi dei colpi di Stato nel dare l’incarico a presidenti non eletti (circa 52 dal 1948 ad oggi). Amo il suffragio universale, diretto (tutti possono votare) e indiretto (tutti possono essere votati), ma il metodo sperimentato su Alex in Arancia Meccanicoa, con la carta costituzionale a scorrere ininterrottamente sullo schermo, lo applicherei a tantissimi elettori in questo bellissimo Paese, se non altro perché decidono anche per me. Molto suggestivo anche quel rischio di una dittatura di fatto che scaturirebbe da un lieve spostamento di poteri dal Parlamento all’esecutivo. Innanzitutto, se provassi a contare le leggi di inziativa parlamentare rilevatesi di una certa importanza per il paese portate a compimento negli ultimi 30 anni non riuscirei ad impiegare tutte le dita di una mano. Lo schema è, ed è stato, infatti sempre lo stesso: i parlamentari rinunciano a legiferare per non perdere consensi raccolti a colpi di slogan e frasi che tutti vogliono sentirsi dire così da assicurarsi il posto per l’intera legislatura, mentre tocca ai governi proporre decreti, assumersi le responsabilità agli occhi dei cittadini e assoggettarsi alla gogna mediatica scaturente dal gioco a nascondino di 6/700 nullafacenti eletti come rappresentanti del popolo. Un adeguamento della Costituzione a ciò che davvero avviene in Italia dagli anni ‘70 del secolo scorso non sarebbe di certo un male, ma, come ho già accennato in precedenza, a me piacerebbe che sia l’elettore (non l’ultras o il suddito volontario di qualche partito o movimento) a premiare o bocciare l’operato del parlamentare eletto piuttosto che ci si rassegni a cambiare l’assetto tra i poteri istituzionali per rimediare alla pigrizia dell’italiano, che non si informa su nulla e ripete come un pappagallo quelle quattro fesserie che legge o sente superficialmente mentre è al cesso o al bar.
Sono consapevole che la mia è un’utopia, ma che senso ha parlare di regime offendendo i popoli anglosassoni (e non solo) che vivono in un sistema che è più simile all’assetto proposto da questa riforma e far credere che le vere democrazie siano quelle (Italia e Turchia) dove ci sono le costituzioni più belle e fighe del pianeta? Non se ne vogliano gli eredi dei padri costituenti, ma se potessi, piuttosto che incorniciare la Costituzione, a casa esporrei come minimo un Caravaggio!

Tralasciando i tanti “l’ha detto Tizio” e “l’ha detto anche Caio”, passerei ora a quella parte della riforma che mi colpisce in positivo più di tutte le altre: la “regionalizzazione” del Senato (ad oggi una farsa pazzesca) e la composizione di questo con soggetti già eletti in ambito locale.
C’è chi sostiene che sia un modo per estendere l’immunità parlamentare a soggetti “nominati” e non eletti, inquisiti facenti parte dei consigli regionali e comunali, e chi che per fare il senatore occorra ancora oggi riscaldare lo scanno tutti i giorni a Palazzo Madama e percepire uno specifico stipendio.
La prima osservazione è stata lanciata da Travaglio, abile critico sempre attento ad ingraziarsi il partito d’opposizione più imponente del momento (la sinistra ai tempi di Berlusconi e i pentastellati oggi che c’è Renzi). Ammetto di aver sempre subito un certo fascino dalle analisi del direttore del Fatto, fin dai tempi del Giornale di Montanelli e dei suoi editoriali su Cuore, ma mi pare alquanto difficile sostenere che quando si rinuncia ad un introito fisso quale i contributi statali alla stampa (ormai in estinzione) si possa ritenere un giornalista, ed un giornale, che ha fortemente bisogno di una base fissa e cospicua di lettori come indipendente, se non altro perchè ad ogni inizio mese si parte sempre da zero in fatto di reddito certo. Se poi aggiungiamo che una riforma costituzionale deve avere necessariamente una gettata di lungo periodo e che la “sparata” è legittimata invece da alcune indagini in corso oggi, mi sa tanto che siamo proprio fuori strada e che si stia facendo solo propaganda in tale direzione. A maggior ragione se si pensa che una legge elettorale per eleggere i senatori è possibile solo dopo la riforma, dunque anche il ricorso al termine “nominati” è a dir poco bizzarro.
Per il secondo aspetto sono davvero allibito. Oggi, un impiegato insignificante come me, ad esempio, con un pc e due schermi produce in un giorno quanto chi faceva il suo stesso lavoro dieci anni fa non riusciva nemmeno in quindici (forse venti) giorni lavorativi. Non capisco perchè un consigliere regionale o comunale eletto come senatore dai cittadini non possa seguire tre/quattro riunioni settimanali improduttive via streaming dal suo ufficio ed espimersi via web con voto certificato (e comunicare via pec) e recarsi a Roma soltanto quando ci sia da votare la fiducia al Governo o una legge di vitale importanza per le finanze statali (o esprimersi su una riforma costituzionale). Non mi è chiaro perchè a rappresentare gli enti locali debba ancora oggi essere qualcuno che non conosce il territorio (ci siamo dimenticati che i senatori campani, lucani, calabresi, pugliesi e del basso Lazio non sapevano nemmeno i nomi dei paesi colpiti dal sisma dell’Irpinia e le figure di merda fatte dai loro colleghi di tutt’Italia durante le alluvioni e i terremoti che hanno devastato il territorio nazionale in tutti questi anni?) e che debba addirittura percepire una remunerazione specifica per qualche ora di presenza in Senato mentre cazzeggia con il proprio tablet, dorme, scrive messaggini ai suoi amici allundendo alle belle forme di qualche collega o alla bruttezza di qualcun altra e abbandonarsi alle più disparate tecniche masturbatorie che si conoscano.
Ho serie difficoltà a comprendere perchè non si possa pagare soltanto la trasferta a chi già lavora sul territorio e sia stato eletto democraticamente dai suoi concittadini per rappresentarli a Roma. Dov’è la necessità che venga allestito il Senato per dibattiti che si possono fare tranquillamente in rete? Perchè devo preoccuparmi del fatto che il barbiere, il calzolaio, gli uscieri e gli autisti di Palazzo Madama rischino che il proprio inquadramento diventi da full-time a part-time? E’ da prima che nascessi che circola quest’idea di Senato regionale con dei veri rappresentanti locali ed ora se ne parla in toni addirittura grotteschi.
Questo passaggio della riforma non mi dispiace affatto e credo che se un giorno qualcuno lo proporrà (magari isolatamente) non esiterei a recarmi alle urne per esercitare serenamente il mio voto.

Potrei continuare citando altre stroncatura meno gettonate, ma diciamocela tutta, senza prenderci in giro: a questo referendum costituzionale si voterà pro e contro il governo. C’è tanto di ideologico sia da un lato che dall’altro. C’è molta propaganda e troppo terrorismo mediatico che se ci fosse un quorum la risposta di un popolo che ami sul serio la democrazia, sia abituato ad informarsi e detesti i giochini delle antinomie tra leggi nazionali e regionali che fanno diventare importanti burocrati e politicotti vari anche per ottenere un certificato che all'estero si piò ottenere con una richiesta via emai, non potrebbe essere che l’astensione.
E’ legittimo esprimersi di pancia e pro o contro un esecutivo, non mi si fraintenda. Ma basta con tutta questa campagna allarmistica e questo finto ergersi a salvatori della patria o a difensori della costituzione. Siamo in piena subcultura da stadio e la si respira a pieni polmoni. Ne beneficerà il no, dicono i sondaggi, soprattutto nelle aree più assistite della nazione, ma grande è la confusione e tanta è la voglia di giocare sulla carta costituzionale. Complimenti!

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