venerdì 19 febbraio 2016

Mercato dei cambi: un po’ di storia (parte 3)


Nel 1978, altro anno di shock petroliferi e forti tensioni sociali, i principali Paesi europei, consci dell’impossibilità di lì a pochi anni di poter fronteggiare il debito pubblico e la tenuta del potere d’acquisto e degli investimenti conseguenti alle guerre commerciali nel Vecchio continente scaturite dal nuovo regime dei cambi, diedero vita ad un Sistema monetario europeo, lo SME, con l’obiettivo principale di ridurre l’inflazione attraverso la stabilizzazione dei cambi e l’unificazione della moneta europea attraverso la creazione di una moneta unica, l’ECU. Questo sistema, con il Rapporto Delors (1988) e il Trattato di Maastricht (1992), porterà alla creazione nel 1992 dell’UEM (Unione Economica e Monetaria) che guiderà alla nascita, nel 1999, della moneta unica europea, l’euro.

L’euro, dalla sua introduzione, ha acquistato un ruolo fondamentale quale moneta di riserva internazionale, seconda solo al dollaro Usa.
L’aumento degli squilibri nelle bilance dei pagamenti tra i grandi Paesi emergenti, capaci di favorire le proprie esportazioni con il cambio debole, e gli Stati Uniti, sempre attenti a mantenere elevata la domanda interna anche a discapito dell’equilibrio sui mercati internazionali, ha infatti amplificato la debolezza del dollaro e velocizzata la diversificazione delle riserve internazionali. E allo stesso tempo la Cina ha cominciato a promuovere l’uso della propria moneta sui mercati globali.
Oggi il sistema dei pagamenti internazionale gira principalmente su tre monete, dollaro, euro e yen, con la sterlina e il dollaro australiano le valute più scambiate sul Forex.
Queste cinque divise, inoltre, con il franco svizzero e il dollaro canadese, le monete rifugio per tanti investitori, coprono quasi la totalità degli scambi, mentre le altre movimentano volumi davvero marginali.

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