domenica 2 settembre 2018

Vincolo di bilancio, disavanzo e autoalimentazione del debito pubblico


Per comprendere appieno le dinamiche del debito pubblico odierne e tutto ciò che esse implicano in termini politici, economici e sociali, è necessario soffermarsi sul rapporto debito/PIL e cercare di comprendere perché questa relazione abbia tanta centralità nel dibattito pubblico.

Dal punto di vista concettuale la questione è di facile comprensione: il debito pubblico è un parametro che si autoalimenta, un fenomeno che, in presenza di un disavanzo iniziale e in assenza della volontà del governo di ripagarlo negli anni successivi, può aumentare all’infinito.
Per stabilire, quindi, se il debito è sopportabile per un singolo Paese diventa fondamentale tener conto della ricchezza prodotta nello stesso, attraverso la quale si ricavano le risorse con cui coprirlo, per cui diventa centrale, nell’analisi, il rapporto debito/PIL.

Dal punto di vista pratico, per comprendere meglio l’argomento può risultare utile rispolverare concetti quali vincolo di bilancio di governo, deficit e debito pubblico.

Il bilancio pubblico è la rappresentazione contabile delle entrate e delle uscite delle pubbliche amministrazioni, che, a loro volta, si suddividono in amministrazioni centrali dello Stato, amministrazioni locali ed enti previdenziali.

Se, in un dato anno, le spese pubbliche eccedono le entrate pubbliche si ha un disavanzo pubblico (deficit).

La somma dei disavanzi accumulati negli anni dallo Stato costituiscono il debito pubblico.

Fatte queste semplici premesse, il vincolo di bilancio del governo nell’anno t è dato dall’equazione:

disavanzot = rBt-1 + Gt - Tt

dove:

Gt - Tt è il saldo primario, dato dalla differenza tra la spesa pubblica Gt e le entrate tributarie Tt.
Se la prima supera le seconde si realizza un disavanzo primario, viceversa si ha un avanzo primario.

Per determinare il disavanzo pubblico complessivo nell’anno t a questo aggregato va sommato l’onere degli interessi sul debito pubblico, dato dal tasso di interesse reale r che moltiplica lo stock del debito alla fine dell’anno precedente Bt-1.

Le entrate e le spese pubbliche sono costituite da distinti aggregati.


Tra le entrate si rilevano:

- le imposte, prelevamenti coattivi di ricchezza che colpiscono la capacità contributiva dei cittadini (reddito, patrimonio, consumi);

- le tasse, prelevamenti che colpiscono i cittadini quando usufruiscano di determinati servizi;

- i contributi sociali, prelievi coattivi operati per finanziare specifiche opere di pubblica utilità;

- le entrate in conto capitale, che non rientrano tra le entrate tributarie essendo entrate straordinarie derivanti dalla vendita del patrimonio pubblico (privatizzazioni).

Le spese pubbliche sono, invece, suddivise in:

- spese correnti, destinate al funzionamento delle amministrazioni pubbliche;

- spese in conto capitale, sostenute dallo Stato per investimenti diretti e indiretti;

- spese per l’acquisto di beni e servizi da parte delle amministrazioni pubbliche;

- spese di trasferimento, le più importanti, in termini di peso sulle finanze pubbliche, sono le prestazioni sociali e i pagamenti d’interessi sul debito pubblico.

Nel pianificare la sua politica fiscale, lo Stato non può tuttavia limitarsi a determinare l’ammontare della spesa e delle entrate, ma, visti i diversi effetti che la combinazione di queste voci hanno sul reddito e sulla crescita economica, deve anche porre grande attenzione alla composizione di esse.

Un fardello che si autoalimenta. Nel vincolo di bilancio del governo appena visto il disavanzot corrisponde al fabbisogno complessivo dell’apparato pubblico nell’anno t: se negativo si produrrà un risparmio pubblico che andrà a ridurre lo stock del debito pubblico, se positivo, si avrà un aumento del debito e l’operatore pubblico si dovrà porre il problema di come coprire il saldo passivo.

Lo Stato può finanziare il suo fabbisogno finanziario emettendo titoli di debito pubblico (BOT, BTP, CCT) per venderli a soggetti privati o chiedendo alla banca centrale di acquistarli.
In questa seconda ipotesi, la banca centrale paga i titoli del debito pubblico con creazione di nuova base monetaria attraverso le cosiddette operazioni di mercato aperto.
Tale procedimento è chiamato “monetizzazione del debito”, in quanto consente allo Stato di non ricorrere all’indebitamento ma di finanziarsi attraverso la creazione di nuova moneta.



Queste modalità di finanziamento del disavanzo possono essere rappresentate dalla seguente equazione:

disavanzot = fabbisognot = (Bt - Bt-1) + (Mt - Mt-1)

dove:

Bt - Bt-1 rappresenta la parte di disavanzo finanziata mediante emissione di nuovi titoli,

Mt - Mt-1 quella finanziata mediante creazione di nuova base monetaria da parte della banca centrale attraverso operazioni di mercato aperto.

La relazione appena vista evidenzia come politica fiscale e politica monetaria siano tra loro collegate e, essendo il ministero del Tesoro e la banca centrale indipendenti, che i due regimi politici possono entrare in conflitto tra essi.

Ipotizzando che la banca centrale non intervenga nel finanziamento del debito pubblico, approssimando dunque ciò che verosimilmente accade in Europa, negli USA e in gran parte delle grandi economie mondiali, quindi (Mt - Mt-1) = 0, il debito pubblico varia soltanto in funzione del disavanzo al tempo t e questo può essere finanziato esclusivamente mediante emissione di titoli pubblici.

Il vincolo di bilancio del governo diventa:

Bt - Bt-1=  rBt-1 + Gt - Tt

Isolando il debito pubblico alla fine dell’anno è ancor più chiara la relazione di questo con il saldo primario e, soprattutto, con gli interessi sul debito preesistente:

Bt = (1+r) Bt-1 + Gt - Tt

Con quest’ultima equazione si può notare più chiaramente come il debito cresca ad un tasso pari al tasso di interesse e capire perché si parla di autoalimentazione del debito.


Nella realtà, se dal punto di vista teorico e nell’immediatezza dell’adozione di provvedimenti di finanza pubblica straordinari il debito si autoalimenta soltanto mediante gli interessi sui titoli pubblici che lo finanziano, esso cresce anche con l’emissione di nuova moneta attraverso un circuito indiretto facilmente intuibile.

L’aumento della massa monetaria implica infatti la svalutazione della moneta e la perdita di potere d’acquisto della stessa.
Le ripercussioni di ciò sui costi delle materie prime, specie se in prevalenza importate, sui cicli industriali, sui bilanci delle famiglie e sui risparmi è pressoché immediato o quasi.

Gli aiuti alle grosse aziende in crisi, l’impennata della spesa in welfare (ore di cassa integrazione, assegni di disoccupazione e sostegno alle famiglie), l’adeguamento di salari e stipendi all’inflazione A quella programmata e non a quella reale, spesso anche il doppio della prima), la spesa per acquistare i propri titoli sul mercato secondario per calmierare la speculazione finanziaria che consegue alla svalutazione (sinonimo, per gli investitori, di rischio default del Paese che vi ricorre e quindi aumento del rischio nel detenere i suoi titoli in portafoglio), l’impennata della spesa pubblica per garantire comunque i servizi di pubblica utilità e tutta la spirale di interventi necessari a mantenere lo satus quo sociale ed economico non solo generano debito su debito, ma danno luogo ad un circolo vizioso ancor più difficile da stimare ex ante rispetto a quanto accade con la sola emissione di titoli di stato.

Basterebbe, ad esempio, dare un’occhiata di tanto in tanto alle serie storiche di Italia e Spagna dalla fine degli anni settanta alla seconda metà degli anni novanta dello scorso secolo per rendersi conto come ricorrendo all’emissione di nuova moneta, ed alla svalutazione della stessa per favorire poi l’export ed aggiustare la bilancia dei pagamenti, si siano condannate le nuove generazioni a lottare per la sopravvivenza e vivere di precariato perenne.
Eppure c’è chi propone ancora oggi tali ricette per salvare le economie mondiali più affette da tali problemi: miracoli della propaganda e della mistificazione della realtà quotidiana!

Nessun commento:

Posta un commento