sabato 21 luglio 2018

Debito pubblico: la prima guerra mondiale e la crisi del dopoguerra



Con la prima guerra mondiale i conti pubblici subirono una decisa impennata grazie alla notevole crescita della spesa pubblica ad essa correlata.
Il Paese fece registrare disavanzi su disavanzi e l’aumento delle imposte e del ricorso al debito e la messa in circolazione di maggiori quantitativi di moneta non riescirono a mitigare tale tendenza.

Cessato il conflitto bellico, inoltre, il disavanzo venne ulteriormente aggravato da un’improvvisa frenata delle spese e, dunque, degli investimenti pubblici, i cui effetti si intensificarono a causa di un sistema tributario logoro e poco funzionante, che non riuscì a garantire entrate in grado di coprire le uscite statali, ma al massimo i soli interessi del debito.

Il peso delle imposte, inoltre, diventò di sana pianta particolarmente asfissiante e, dunque frenante per il rilancio delle spese. E ciò per tutta una serie di motivi quali la perdita di valore della lira a seguito dell’aumento di circolante, la bassa crescita delle entrate totali, la contrazione del commercio interno e internazionale e, in generale, la mancata ripresa dell’economia.


Le tasse, infatti, dopo aver toccato il 18% delle uscite correnti nel 1918, subirono una brusca e poi costante crescita, mentre lo Stato, per coprire il fabbisogno sorto per le spese belliche, emise con regolarità buoni ordinari del Tesoro, che andarono a sommarsi ai cinque prestiti nazionali emessi tra il 1914 e il 1917 e all’ulteriore prestito emesso appena subito dopo il conflitto con lo scopo di consolidare il debito fluttuante.

Alla fine della Grande guerra, in estrema sintesi, la situazione debitoria fece registrare un deciso cambiamento:

- il totale dell’ammontare dei debiti consolidati e redimibili crollò dal 94,1% del 1914 al 60,9% del 1922;

- il debito fluttuante crebbe di oltre 30 punti, posizionandosi sotto la soglia del 40% del totale;

- il debito pubblico aumentò di oltre 75.000 milioni;

- il rapporto debito/PIL toccò il 125%, nuovo record negativo.

Si rese, inoltre, necessario collocare prestiti all’estero attraverso l’emissione di buoni speciali: i principali sottoscrittori risultarono la Gran Bretagna e gli USA.
I debiti verso i Paesi esteri, in generale, risultarono di pari ammontare di quelli interni, circa 93.000 milioni.
Si tratta, tuttavia, di prestiti particolari che non incisero sull’economia italiana in quanto si era fissato che le relative annualità sarebbero state controbilanciate dalle riparazioni a carico della Germania.

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